giovedì 14 aprile 2011

Rivarotta e il suo guado




Ai nostri giorni, quando per qualsiasi esigenza dobbiamo recarci nei paesi vicini ci bastano pochi minuti per raggiungerli.
Oggi possiamo abitare per esempio a Castellamonte , lavorare a Rivarolo, recarsi al cinema a Cuorgnè o trovare un amico a Valperga nella stessa giornata. Questa abitudine ormai diffusa ci fa sentire il circondario vicino come se fosse il nostro paese.
Anche i grossi centri come Ivrea e Torino sono facilmente raggiungibili. Certo come uomini moderni e frenetici abbiamo i nostri problemi di trasporto e le nostre piccole angosce: il traffico, i pericoli della strada,ecc
Problemi che sono però enormemente piccoli in confronto a quelli che dovevano affrontare i nostri avi quando si mettevano in cammino.
Se fossimo dotati della facoltà di viaggiare a ritroso nel tempo, in pieno 800 troveremmo carri , birocci, cavalli, muli e soprattutto tanta gente a piedi. Le strade le troveremmo rimpicciolite, polverose d’estate e fangose e piene di “ruere” nella brutta stagione. Molte strade non le ritroveremmo più, ma nonostante ciò, il tracciato delle strade che oggi percorriamo abitualmente ,ad eccezione di quelle recentissime, sarebbe ancora riconoscibile.
Infatti esso risale agli inizi del XIX secolo, quando dopo l’ondata innovatrice del periodo Napoleonico e dopo la restaurazione lo stato Sabaudo si convinse della grande importanza che avevano le comunicazioni in uno stato moderno e fece notevoli sforzi per dotarsi di una rete stradale adeguata ai tempi.
Ancora un balzo nel tempo ed a metà settecento avremo già dei seri problemi a riconoscere le strade ed a raggiungere i centri vicini. Infatti oltre ai problemi di percorribilità delle strade, molte delle quali ridotte a mulattiere, ci troveremmo di fronte ad un problema, di cui oggi quando viaggiamo quasi non ci rendiamo conto: il superamento dei corsi d’acqua e soprattutto dell’Orco il cui percorso taglia verticalmente in due il Canavese.
Il Prato nel suo rapporto sulle condizioni dello Stato Sardo afferma che a metà ‘700 non vi era un solo ponte di pietra che attraversasse l’Orco essendo quello di Cuorgnè crollato nella piena del 1705.
L’uomo doveva guadare il fiume sottostando ai capricci delle sue acque e conseguentemente i commerci, l’economia, e anche le guerre ne erano influenzate.
In certi periodi dell’anno la potenza delle acque impediva ogni collegamento e l’isolamento poteva durare anche dei mesi. In questi periodi i prezzi di certi generi alimentari potevano variare anche notevolmente tra i paesi delle sponde opposte.
Il guado che offriva più praticabilità nelle stagioni e nel corso degli anni era, sino a metà del secolo scorso un punto strategico economico e militare e come tale andava attrezzato e difeso.
Importanti guadi attrezzati con “puntije”di legno lungo il corso dell’Orco li troviamo a Brandizzo dove scorreva l’importante via di comunicazione tra il Ducato Sabaudo e la Lombardia, tra S. Benigno e Volpiano, a Feletto dove ransitano nobili e duchi in direzione di Agliè, a Cuorgnè dove il vecchio ponte è rabberciato alla meglio con assi di legno che vengono travolti ad ogni piena e a Rivarotta.
In numerosi documenti e carte antiche questi punti di attraversamento sono menzionati come “porti” e si fa riferimento a “barche”. Non dobbiamo però aspettarci un significato letterale di questi termini anche se nel castello di Malgrà a Rivarolo un affresco (peraltro quasi completamente rifatto ad inizio secolo) rappresenta un classico barcaiolo con tanto di remi intento ad attraversare l’Orco, metodo questo assai improbabile dato il carattere torrentizio dello stesso.
Probabilmente con il termine “barche” sono intesi dei cassoni galleggianti, ancorati alle sponde con robuste funi in modo da costituire una sorta di traghetto. Questo poi veniva ritirato quando l’Orco minacciava una piena, in quanto alla furia delle acque non vi era, “traghetto” o “puntija” che reggesse e non restava che attendere che le acque si placassero.
Sull’ineluttabilità di dover fare i conti con i capricci del fiume nei programmati spostamenti nacque anche il motto piemontese “Fè ‘na gita a Flet” usato per descrivere una perdita di tempo, e che trae origine da una gita al castello ducale di Agliè della corte interrotta appunto a Feletto causa l’impossibilità di guadare l’Orco.
Per non allargare troppo il discorso che ci condurrebbe lontano ci limitiamo a considerare il guado di Rivarotta che direttamente interessa il territorio altocanavesano e come vedremo in seguito era uno dei guadi più antichi e ricchi di storia.
Il primo documento in cui esso è citato è datato 31 dicembre 1177 e riguarda la donazione che Guido conte del Canavese fà al monastero di Rivarotta dei diritti derivanti dal "porto" sull'Orco.
Al guado di Rivarotta, Castellamonte era collegato tramite la via chiamata anticamente via“Merchanda”, che aveva una larghezza di 6 piedi liprandi (poco più di 3 m).
Lasciato l’abitato la strada seguiva e segue ancora, un breve tratto dell’odierna via per Cuorgnè sino alla cappella di S.Sebastiano dove attualmente si trova il cimitero e raggiunta la borgata della Trinità si dirigeva al guado.
In questo luogo l’Orco sino alla recente alluvione si divideva in due o tre bracci rendendo più facile il superamento. Qui, secondo la portata delle acque, avveniva il passaggio, effettuato sulle “Puntije”: ponticelli di legno di varie fogge e dimensioni che variavano con il variare del letto del torrente e con lo scorrere dei secoli. Potevano essere poche tavole inchiodate su due tronchi oppure opere più complesse che collegavano le due sponde sorrette da pali infissi nel letto del torrente.
Addetti alla loro costruzione e manutenzione erano quasi sempre gli abitanti di Rivarotta, che fornivano ogni anno, anche libre quatto di canapa, che era impiegata per la costruzione delle funi, e avendo in cambio l’esonero da ogni pagamento per l’attraversamento.
I viandanti che percorrevano la via “Merchanda” giunti alla borgata di Rivarotta avevano diverse scelte:
continuando per Salassa, Oglianico, Favria, Front, Borgaro potevano raggiungere Torino o l’importante Val di Susa che conduceva in Francia ,oppure appena passato l’Orco girare a sinistra verso Vesignano, Rivarolo, o a destra risalendo l’argine sino a raggiungere Cuorgnè.
Non ci deve stupire il fatto che i castellamontesi preferissero questa strada per andare a Cuorgnè, in quanto sulla sponda sinistra si raggiungeva comodamente solo Spineto, dopo di che la strada si trasformava in una ripida mulattiera che si inerpicava sui rilievi collinari di località Piova le cui rocce strapiombavano nell’Orco e solo nel secolo scorso verrà aperta la strada che costeggia il torrente.
Bisogna anche ricordare che il vecchio ponte di Cuorgnè era stato costruito non per collegare Castellamonte, e nemmeno Pont in quanto quest’ultimo si raggiungeva dalla sponda destra tramite l’antichissima strada di Campore ma bensì i paesi della valle Sacra.

Riguardo il ponte di Cuorgnè sorsero numerose liti tra questo comune e Castellamonte.
Alla metà del ‘700 dopo decenni dalla parziale distruzione dell’antico ponte il comune di Cuorgnè volle ricostruirne in muratura la parte mancante, ma Castellamonte cercò di sottrarsi dal contribuire, anche perché il ponte, rendeva il mercato di Cuorgnè privilegiato rispetto a quello di Castellamonte.

Gli ordinati comunali del tempo confermano quanto sopra e affermano che la comunità di Castellamonte preferiva servirsi del guado di Rivarotta per recarsi sull’altra sponda.
Per andare a Torino, affermano che la strada per il guado di Rivarotta è preferita dai pedoni e cavallanti mentre per carrozze e carri si percorre la sinistra dell’Orco via Ozegna., Foglizzo, S.Benigno. Brandizzo .
Un antico documento del 1686 ci informa che al guado vi era anche una barca per il transito ed il barcaiolo pagava annualmente, per il diritto, una determinata somma, metà al Prevosto, metà al consortile dei conti di Valperga.
Sulla strada che conduceva al guado dell’Orco non transitava solo il traffico locale, essa era un importante segmento di una via di comunicazione che collegava l’Eporediese con Avigliana, porta daziaria per la Val di Susa e quindi con la Francia. Un altro documento dell’Archivio comunale di Cuorgne datato 13 aprile 1431 afferma che un certo Domenico Botta era stato esattore del “pedaggio”, al guado di Rivarotta, sulle merci portate dai mercanti “qui veniunt de Yporegia et vadunt Aduillaniam” (che vengono da Ivrea diretti ad Avigliana.
Proprio per il passaggio di questi commercianti che trasportavano merci pregiate( stoffe, spezie, armi ecc.) il nome di “merchanda” era più che mai appropriato.

Nel 1300 i Signori di Valperga tengono saldamente in mano Rivarotta e se ne servono come base contro Castellamonte, costringendo i conti S.Martino a costruire delle piccole opere fortificate per difendere il guado.
Sulla via “Merchanda” alle difficoltà viarie di sempre i secoli bui del medioevo ne aggiungono altre. Le continue lotte fratricide fra S.Martino e i Valperga renderanno la via di transito sempre più spesso percorsa dalle soldatesche dei due schieramenti che si recano a seminare lutti e rovine nelle altrui terre.
A questo flagello si aggiunge quello del brigantaggio: contrabbandieri, grassatori, rapinatori , berrovieri ( barivel) soldati mercenari rimasti senza ingaggio e ogni sorta di derelitti umani infestano le vie di comunicazione.
A poco servono i provvedimenti per combattere il fenomeno: taglio della vegetazione per la larghezza di vari metri dal bordo della strada per prevenire imboscate e esposizione di membra dei banditi catturati appesi agli alberi.
Al viaggiatore non rimaneva che percorrere la strada organizzato in piccoli gruppi e soprattutto affidare la propria anima a Dio e se il viaggio era molto lungo fare testamento.
Ma la strada era percorsa anche da uomini animati da una fede incrollabile: i pellegrini, che indossato un saio di lana e appoggiati al bordone, un lungo bastone ricurvo, incuranti dei pericoli testimoniavano la loro fede con il cammino.
La posizione strategica di Rivarotta rispetto al guado favorì anche il sorgere di importanti istituzioni religiose, che si occuparono dello sviluppo materiale e religioso delle popolazioni e dell’assistenza ai viandanti.

Nel Liber Decimarum del 1368-70 le alte contribuzioni a titolo papale che la chiesa di S. Maria Maddalena di Rivarotta e il monastero retto dai monaci benedettini pagavano, sono equiparate a quella di importanti istituzioni religiose dell’epoca come l’abbazia della Frutuaria a S.Benigno, il capitolato della diocesi e del monastero di S.Stefano entrambi di Ivrea.
Questo conferma l’importanza del sito e della sua giurisdizione sulle terre, che si estendono anche sull’altra sponda dell’Orco.
Un antico documento del 21 aprile 1221, riportato dal Bertotti nei “Documenti di storia Canavesana “ riferisce che davanti al notaio Oberto, il Prevosto di Rivarotta Robaldo investiva a Giovanni Realdo, Giovanni Cognato, Pietro Rosso e Guidone Mazoco tutti di Castellamonte alcuni terreni (gorreto, clapeto et gerbido) al di là del fiume Orco in territorio di Castellamonte.

Il contratto prevedeva per il convento un quarto del fieno e che nessuno poteva tagliare la sua parte, pena di perderne il diritto, prima che il prevosto avesse controllato e tagliato la sua.
Ma nel caso una piena dell’Orco avesse impedito al prevosto di andare sull’altra riva la sua parte doveva essere tagliata e riposta sotto un tetto in attesa che placate le acque potesse venire a ritirarla.
Un balzo nel tempo e siamo a cavallo del primo millennio. Esso ci conduce ai confini della storia documentata, ed all’origine stessa del Canavese.

Rivarotta (Rivaruptam) appare accanto ad altri toponimi lungo il corso dell’Orco.

Di questi molti non se ne conosce l’origine e l’esatta ubicazione come la leggendaria Canava o Canaba che compare in diplomi imperiali sin dal 900 d.C. e che dette origine a quella “cortem Canavam” da cui pare originare il nome Canavese.
Il noto storico di inizio settecento J.Durandi analizzando un diploma di Ottone III dell’anno 1000 scrisse:” Sopra Rivarotta o li presso, devono ricercarsi Canava e più in là Rordilitegna: quest’altra probabilmente la Corgnate”(Cuorgnè di oggi ).
Canava compare ancora fin verso il 1030-1050 poi scompare, probabilmente distrutta da un’eccezionale piena dell’Orco forse causata dallo svuotamento di un lago alpino formatosi da una frana che sbarrò il corso dell’Orco.

Lo storico Pagliotti colloca la distruzione di Canava appunto all’inizio del secolo XI . L’Orco “....si riversò su tutta la vetusta Corte Canava , lasciando un piccolo rimasuglio di abitazioni che furono poi totalmente distrutte in altra piena del 1378...
Anche sul territorio di Castellamonte esistono toponimi ormai scomparsi o di difficile identificazione, ad esempio Montagnacco che si trovava nei pressi del guado per Rivarotta.
Esso potrebbe essere individuato nelle attuali borgate della Trinità o di S.Antonino, ma il Giorda che ha potuto consultare i documenti dell’archivio comunale in tempi i quali questi erano più completi e certamente più accessibili parla di Montagnacco come di un luogo diverso, ma sempre vicino al guado.

Il canonico G.Saroglia in “Eporedia Sacra” Ivrea 1887 pag. 55 afferma che a Montagnacco presso l’Orco vi era l’originaria chiesa di S.Pietro già con titolo di parrocchiale la quale unendosi con quella di S.Paolo presente nel borgo diede vita alla parrocchia dei SS.Pietro e Paolo.
L’ipotesi non trova d’accordo M.Giorda che nella sua Storia di Castellamonte afferma che nel secolo XIV, Montagnacco aveva una chiesa dedicata a S.Quirico e non fu, almeno nel periodo considerato, un centro abitato di una certa importanza.

Certo è che Montagnacco (Montaniacus) insieme a Rubelliascus, Aumiacus, Calerianus sono toponimi romani individuati sul territorio Castellamontese a cui potrebbe risultare altrettanti nuclei abitati in epoca romana e quindi precedenti alla fondazione stessa del concentrico.
Come per la leggendaria Canava, anche Montagnacco fu distrutta dalla stessa piena, che così tanto spaventòi canavesani e li indusse a ritirarsi verso luoghi più sicuri?
Magari verso Revigliasco e Pracarano, che finirono per ingrossarsi costituendo il concentrico di Castellamonte?
Un ultimo balzo e siamo in epoca Romana. La medioevale via “Merchanda” che conduce al guado era una delle vie che collegavano Eporedia con il territorio fortemente romanizzato di Salassa-S.Ponso-Augusta Taurinorum e i valichi della Val di Susa.
Numerosi reperti storici del periodo sono emersi lungo tutta la direttrice e sono ancora riscontrabili le tracce della centuriazione romana sui terreni.
Il nostro viaggio a ritroso nel tempo termina qui, dove le conoscenze umane diventano evanescenti sino a scomparire del tutto.
A noi rimane la consapevolezza che sulla strada del guado dell’Orco, come in tutte le strade, in quei pochi metri di larghezza, è transitata la nostra storia attraverso i secoli, silenziosamente e senza quasi lasciare traccia.

























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