giovedì 31 gennaio 2013

Alessandro Gallo, un promotore della ferrovia canavesana.



Sindaco di Castellamonte e promotore della linea Rivarolo-Castellamonte della ferrovia canavesana.



Alessandro Gallo
L’onore di continuare l’impegno amministrativo svolto per Castellamonte dall’avv. Domenico Gallo, toccò al primogenito Pier Alessandro nato a Torino il 31 luglio 1851. Alla morte del padre, nel ’79, si era già laureato in giurisprudenza e ottenuta l’abilitazione alla professione nel marzo del ’77, dopo qualche mese, era nominato vice Conciliatore del comune di Castellamonte.
Nel gennaio del 1878, apre uno studio nella casa di famiglia a Castellamonte e si dedica alla libera professione. Nel 1879 è già vice Pretore all’età di 29 anni.
Carriera rapida la sua, probabilmente agevolata dalla stima e dalle conoscenze della famiglia, però il giovane Pier Alessandro aveva saputo dimostrare, nel suo corso di studi la sua volontà e la sua intelligenza.
La situazione politica e sociale dell’Italia era certamente migliore e soprattutto più sicura di quella in cui operò il padre Domenico. Non vi erano austriaci alle porte e la costante incertezza di come sarebbe potuta evolvere la politica e il timore di pagare di persona per le proprie idee politiche.
Il pensiero liberale si stava affermando anche in Italia e, a Castellamonte dopo il 1848, si costituì una classe politica di liberali moderati come i Gallo, i Talentino, i Gallenga, i Felizzatti, che come giustamente scriveva l’avv. Giuseppe Perotti, i sindaci che si succedettero furono tutti ispirati da tali principi: prova ne sia che nel capoluogo non furono dedicate vie o piazze a Mazzini, Garibaldi e neppure a Cavour, quanto piuttosto a Massimo d’Azeglio, Vincenzo Gioberti e Cesare Balbo.
Seguendo le orme del padre, Pier Alessandro Gallo nel gennaio 1881, viene eletto nel Consiglio comunale e nel marzo è Assessore.
Ormai affermato professionista, Pier Alessandro pensò a metter su famiglia e, tanto per rimanere nell’ambiente, sposò la figlia Virginia, del regio notaio cav. Ottaviano Giannuzzi e secondo le disposizioni dell’epoca, che separavano le prerogative dello Stato da quelle della Chiesa, il matrimonio religioso avvenne a Torino il 4 ottobre 1881, mentre quello civile fu celebrato il 9 ottobre.
Nel 1882 venne nominato Presidente della Commissione di prima istanza per l’accertamento dei redditi della Ricchezza mobile del Mandamento di Castellamonte.
Questo incarico, anche se poco appariscente, conferiva a chi lo svolgeva un certo potere, anche di discrezionalità in quanto preposto all’accertamento dei redditi e quindi della loro tassazione.

Nel maggio del 1884 il Consiglio comunale eleggeva l’avv. Pier Alessandro Gallo a sindaco di Castellamonte. La carica che per tanti anni era stata svolta dal padre, tornava in famiglia instaurando una continuità di potere destinata a durare per tutto il decennio.
Nello stesso anno entrerà in servizio il primo telegrafo, e si nomina ad impiegata gerente la sig.na Vittoria Buffa, maestra di scuola superiore . Il telegrafo ridusse le distanze migliorando le comunicazioni, soprattutto con Torino e Ivrea, suscitando notevole curiosità anche se a servirsene sono soprattutto le istituzioni e le fabbriche.
La frazione S. Anna dei Boschi fu dotata di un edificio per le scuole, mentre già si progettarono quelle di Filia e S. Antonio.
Non furono però, queste iniziative a caratterizzare il decennio del sindacato di Pier Alessandro Gallo, ma l’evento più importante del secolo: l’arrivo a Castellamonte della ferrovia.

Erano tempi quelli della seconda metà del secolo XIX, nei quali la maggiore aspirazione per una comunità era quella di avere nel proprio comune o nelle immediate vicinanze una stazione ferroviaria. Erano i tempi in cui si andavano delineando le grandi direttrici ferroviarie, ma anche estendendo le linee minori, sempre foriere di progresso industriale e commerciale. Il Canavese era all’avanguardia nel settore: ad Ivrea la ferrovia era giunta già nel 1858 e Castellamonte le aveva provate tutte, per cercare di condizionare i progetti e far passare la linea tra il nostro comune e Bairo, ma gli sforzi risultarono vani.
Con la costituzione della Società strada ferrata centrale del Canavese nel 1856, il cui progetto prevedeva una linea ferrata da Settimo a Rivarolo, si sperò di farla prolungare sino a Castellamonte, ma le speranze andarono deluse non solo per i castellamontesi, ma anche per i canavesani in quanto per mancanza di fondi si costuì solo un’ippoferrovia, con i cavalli al posto delle fumanti vaporiere. Ad aumentare la delusione concorse anche il fallimento della società, dopo pochi anni di servizio.
Dopo varie vicissitudini e altri fallimenti negli Anni Ottanta del secolo la linea ferroviaria riprese vigore: fu ristrutturata la linea, arrivata sino a Rivarolo e s’introdussero le locomotive a vapore.
Il momento era propizio per far giungere la ferrovia a Castellamonte. Il sindaco Pier Alessandro Gallo, mobilitò tutte le forze produttive del paese e si adoperò a tutti i livelli affinché la ferrovia si prolungasse.
Si rilevò la necessità, per la linea ferroviaria canavesana, di collegarsi con la linea giunta ad Ivrea, anche in ragione dell’allora possibile traforo, che avrebbe condotto la linea ferrata oltre le alpi in Svizzera e Francia e per fare ciò, Castellamonte avrebbe rappresentato la prima tappa di un progetto più ampio e atto ad inserire la linea canavesana nella grande rete delle ferrovie nazionali.
Il Consiglio comunale votò uno stanziamento di lire 100mila, a favore della costruzione della ferrovia, cifra di una certa importanza, che assommata a tutte le motivazioni perorate e persuasive, convinsero gli enti preposti alla costruzione della ferrovia.
Frontespizio invito alla cerimonia
 dell'inaugurazione della ferrovia
Affidato l’incarico di progettazione all’ Ing. Michele Fenoglio si diede il via ai lavori.
Mentre i lavori procedevano lo stesso ing. Fenoglio approntava i progetti del tratto Castellamonte – Ivrea.
L’ormai prossimo arrivo della ferrovia canavesana a Castellamonte e il progettato collegamento con Ivrea, indussero il Consiglio Comunale di Pont a votare all’unanimità la richiesta di collegamento ferroviario con Castellamonte e di concorrere alle spese di progettazione. La decisione dei pontesi, nel contesto storico di quegli anni, era più che motivata, in quanto se la progettata ferrovia Castellamonte – Ivrea fosse stata realizzata, Pont, le sue valli e le sue industrie ( la sola Manifattura impiegava quasi 2mila operai) avrebbero potuto collegarsi tramite la ferrovia, sia con Torino, che con Ivrea.

Intanto a Castellamonte si discuteva sulla collocazione dalla stazione, da quanch’uno giudicata troppo distante dal centro, ( da notare che i prati iniziavano nell’attuale piazza della Repubblica) e sulla strada e il viale di accesso che era necessario costruire.l
L’arrivo della ferrovia fu anche occasione per presentare ai numerosi ospiti che sarebbero convenuti, i prodotti della nostra industria raccolti ed esposti in una Mostra industriale.
Per Castellamonte, il sogno di avere la ferrovia stava per diventare realtà e il sindaco Pier Alessandro Gallo ne fu comprensibilmente orgoglioso.
Il 24 luglio in una Castellamonte addobbata a festa avvenne l’inaugurazione.
Per l’occasione il giornale LA Gazzetta Piemontese mandò un’inviato speciale, con il compito di descrivere ai suoi lettori la memorabile giornata. Riportiamo integralmente l’articolo lasciando a lui, testimone diretto, il compito di descrivere anche a noi quella memorabile giornata.

LA INAUGURAZIONE DELLA FERROVIA
UN BANCHETTO E UNA MOSTRA INDUSTRIALE

……Mettiamoci subito in viaggio e discorriamo.
La gente dice. Ahimè le cerimonie inaugurali delle ferrovie si rassomigliano tutte; ma non pensa che se i giornali ne tengono conto lo fanno non già per la forma, per la festa, bensì per la sostanza, per il valore peculiare delle singole ferrovie. Ciascuna ferrovia ha il suo obiettivo, la sua storia, il suo avvenire, le sue speranze, i suoi preventivi e si collega con fatti economici particolari del paese. Epperò di tutti vuolsi tener conto, ogni qual volta si inaugurano, come di avvenimenti importantissimi. Vuoi conoscere il grado di civiltà di un paese? Guarda alle sue reti stradali e ferroviarie, ai suoi mezzi di comunicazione; non sbaglierai nel calcolo.
E qui ci corre alla penna un’osservazione. Qualche volta taluno, forse in un momento di malumore s’è lasciato scappare un: è in fin dei conti il Piemonte la regione più ferroviaria d’Italia, e questo per combattere certe nostre oneste dinamiche allo Stato. Ma, signori avete poi posto mente mai che in Piemonte appunto una grandissima parte delle ferrovie è dovuta alla iniziativa e ai denari dei luoghi?.....
Ecco qua un’altra ferrovia (quella che inauguriamo) la quale non si è fatta altrimenti che per la iniziativa paesana e con i relativi denari dei comuni interessati. È breve.
Si stacca da Rivarolo sulla linea Settimo Cuorgnè della Società Anonima per la ferrovia centrale e le tranvie del Canavese e percorrendo un tratto di otto chilometri in mezzo a una campagna ora lussureggiante, sale a Castellamonte . Essa congiunge fin d’ora un paese importante e industrioso, come è Castellamonte, con la linea principale e lo mette in comunicazione più o meno diretta con Torino, Cuorgnè, Ivrea, ecc; ma rappresenta anche una speranza: quella del prolungamento fino a Ivrea. Per cui la sua importanza è doppia: quella del presente e quella dell’avvenire.
E che passato! Ben disse il sindaco di Castellamonte che per trent’anni i Comuni interessati diressero i loro sforzi al compimento del vagheggiato progetto. Toccò l’onore di metterlo in atto alla Soc. Anonima, cui il sindaco Pier Alessandro Gallo chiamò meritatamente: nostra benefattrice.
Il nuovo tronco traversa un terreno leggermente inclinato, di facile accesso. Tuttavia, anche nella sua brevità, ha richiesto ben 56 opere d’arte, come una sottovia, una galleria, ponti, ecc.
E poi notevole e degno di lode che, nella costruzione, fu reso ampio omaggio all’industria nazionale. Meno i regoli d’acciaio (che furono forniti dalla soc. John Cockevill di Sevaing) e le locomotive della ditta Hanschell di Cassel ; tutto il resto è stato fornito e fatto da industriali italiani. E cioè: le travate metalliche dalla società Ausiliaria di Torino; l’allargamento in ferro del ponte sull’Orco, dai fratelli Colla di Torino; le stecche, le chiavarde, le piastrelle e gli arpioni dell’armamento, dalla società Tardy e Beneck di Savena; la piattaforma, la gru e il materiale mobile dalla soc. nazionale delle Officine di Savigliano e dalla ditta Grondona di Milano.
Così va fatto.
Tratto tratto ci convien interrompere il discorso per attendere a quel che avviene di fuori.
Alle stagioni , così lungo la linea vecchia, quanto lungo la nuova, c’è sempre gran gente, musiche, bandiere e autorità che salutano il treno inaugurale, e imbandierato anch’esso e pieno di altre autorità. A Rivarolo la banda cittadina sale sul treno e si parte tra i concerti. A Ozegna mandiamo un romantico sospiro al medioevale castello, sui cui balconi le donne stendono la loro modernissima e niente affatto romantica lingeria.
Siamo partiti da Torino (Porta Susa) alla 9.42 antimeridiane e arriviamo a Castellamonte alle 11,04. La stazione e i pressi sono affollati. Tra il popolo festante, affratellati, come sempre, incontriamo i nostri bravi bersaglieri.
L’arciprete Giovan Battista Mattè in pompa magna , seguito da due clerici e da un frate, benedice la macchina. Il sindaco avv. Pier Alessandro Gallo, ieri appunto fatto cavaliere, riceve i numerosi ospiti, e si entra in paese.
Le feste del forte e ospitale Canavese hanno un’impronta di cordialità, di gentilezza, di cortesia, che ricorda i tempi quando, come disse il Carducci, il contadino del Piemonte, arando il suo campo, giunto alla capezzagna, o incontrandosi col vicino, gli potea dire: “Salute Cavaliere!”
Castellamonte è uno di quei paese del Canavese che siedono come in una gloria di campi o di prati verdeggianti. Ieri lo inondava di luce il più bel sole d’Italia. Le sue vie erano ornate di archi, di trofei, di bandiere. A Castellamonte erano convenute le popolazioni di molti paesi vicini. Ai balconi, in mezzo ai fiori, veri mazzi di belle signore o signorine.
Il corteo degli invitati attraversò il paese al suono delle bande musicali con lo stendardo del comune in testa; e capitò prima al Municipio. Indi passò nell’elegante padiglione costruito nei locali dell’asilo infantile , dove a mezzogiorno, cominciò il banchetto.
E qui…..sediamoci, non è vero? E buon appetito. Un banchetto assai buono, inaffiato da un eccellente vino vecchio di Carema, ma proprio quello!....
Siedono alla tavola d’onore: il comm Noli, presidente della Soc. Anonima per la ferrovia centrale e le tranvie del Canavese; il comm Pellegrini, direttore generale della Società e principale organizzatore della nuova linea costrutta; i sindaci di Castellamonte e Rivarolo, Gallo e Barra; i deputati Chiala, Chiesa, Compans, Vigna e Roux; gli assessori del Municipio di Torino Bollati e Riccio; il cav. Tognola, consigliere delegato della prefettura di Torino; il comm. Daneo deputato provinciale, l’avv. Rossotti, consigliere provinciale; il comm. Anselmi, rettore dell’università di Torino; il cav. Veyrat sotto prefetto di Ivrea; il comm. Stanzani ; il colonnello dei bersaglieri Bergonzo; l’Arciprete Mattè, dotto cultore delle lettere latine, conosciuto per la sua traduzione de L’Inferno di Dante ; il cav. Nigra , consigliere provinciale assessore di Torino; il comm. Frescot; il cav. Demichelis, deputato provinciale; il comm Grassi, intendente di Finanza; gli ing. della ferrovia Mollex e Romberg; L’Ing. Fenoglio progettista e direttore dei lavori; il comm Alasia, e molti altri autorevoli personaggi, nonché i sindaci di tutti i paesi cointeresssati .
Sono 250 coperti circa.Fa il servizio il conduttore dell’Albergo del Sole, sig. Marcello Perello.
Il banchetto è rallegrato da un buon concerto dato, alternativamente, dalle tre bande musicali di Castellamonte, di Rivarolo e di Pont Canavese.
E non voglio dimenticare una nota artistica e curiosa. In fondo al padiglione, tra i drappi e le bandiere, da un poggiolo dell’asilo, fanno capolino 10 o 12 suore dalle grandi cuffie alate candidissime. Quelle buone maestre guardando a noi, curiosando, come chi vede il mondo banchettante una volta in vita; ma anche guardate con non minore curiosità.
In un con??? Le bottiglie di sciampagna si da la stura ai discorsi. E a questo punto, lettori umani e ragionevoli, vi proponiamo una nobiltà che tornerà tanto comoda a noi quanto a voi. Invece di riferire ciò che hanno detto gli oratori facciamo cosi: riassumiamo i loro concetti in poche parole e diamo i nomi. Che ve ne pare?
Dunque hanno detto questo: Castellamonte, paese industrioso e ricco , a espandere i prodotti della sua attività e ad aumentarli, aveva bisogno di questa ferrovia. Infatti esso ha dato . per averla 100,000 lire una sovra l’altra. La ceramica specialmente ha qui materia prima e manipolatori eccellenti. Conviene mediante l’associazione, rendere questa industria di regionale, nazionale. Castellamonte e paesi vicini sono della tempra di quelli che hanno per impresa: che s’aiuta, Dio l’aiuta. Dunque, faranno. Si beva all’avvenire di questa nobile regione.
E vi facciamo grazia – sebbene avessero la loro importanza- degl’infiniti ringraziamenti che si scambiarono da oratore a oratore, da Comune a Provincia, da Comune a Comune, compreso il nostro di Torino, e dei grandi e tutti meritati elogi tributati alla Società Anonima delle ferrovie Canavesane.
Parlarono il sindaco di Castellamonte, avv. Gallo; il cav Tognola, a nome del governo; il comm. Noli a nome della Società; l’ing. Pellegrini che diede preziosi ragguagli tecnici; il cav. Nigra; il comm. Riccio; il comm Daneo; l’on. Vigna; il cav. Roscio sindaco di Pont Canavese; il sindaco d’Ivrea cav. Zanetti; l’avv. Pianetti; il cav. Veyrat sotto prefetto di Ivrea, e l’on. Roux
Tutti assai applauditi.
L’ing. Pellegrini lesse lettere e telegrammi del ministro Saracco; degli on. De Rolland e Berti; di Dilenna, ispettore generale delle ferrovie del Regno; di Massa, direttore della Mediterranea; dell ing. Spreafico, ispettore delle ferrovie dello Stato, del comm. Boyl , gran maestro della Casa del Duca di Genova; del direttore e di due amministratori della Banca Sconto e Sete.
Dopo il banchetto, passammo per invito del sindaco, a vedere la Mostra delle industrie castellamontesi. Vi sono notevoli le industrie della ceramica, delle terre cotte, delle lane, cotoni, sete, ecc..Vi ha magnifici vasi di Boscaglione, i fratelli Stella hanno esposto ottimi pavimenti in terra cotta. Vasi, tubi, stoviglie, stufe, ecc..ha esposto il Pagliero e Figli. Le signore si fermano di preferenza dinanzi alla mostra della ditta Masera, ove sono esposti effetti di lana e cotone, catalogne, molettoni, ecc. La sig.ra Pullino Caterina ha degli accurati ricami su tela.
Altri espositori sono l’orologiaio Pondio, il cuoificio Crucco, i fratelli Ceriana , fabbricanti da seta, ecc. Insomma, una mostra piccola modesta, ma notevole. Perché dimostra le tendenze del paese ad un avvenire bellissimo. Tutti uscirono da codesta mostra in miniatura veramente soddisfatti. Sono le 5 pomeridiane, si fa ancora in giro pel paese. Si va a vedere la chiesa nicchiata in quell’altro ciclopeo tentativo di chiesa e poi alla stazione.
Il Fischietto. Il giornale satirico subalpino
dedicò un'intera pagina all'evento.
Il treno inaugurale era di ritorno a Torino verso le sei.
Ultima nota relativa alla produzione…letteraria e musicale. L’ottimo collega avv. G. I. Armandi ha compilato una Guida del Canavese, di cui ieri però non si vide che il primo saggio. Il maestro Stazio Fedi ha scritto una “fantasia musicale”all’arrivo del treno. L’arciprete Mattè ha scritto un sonetto e l’ha tradotto in latino.
Peccato che tra vari prodotti buoni ve ne sia da ricordare uno… meno buono! Un altro poeta dalla barba bianca – che a codeste feste non manca mai- ha fatto gemere, secondo il suo costume, i torchi per una sua cantilena, di cui sono infelici non meno i versi che i pensieri… se quelli e questi si possono chiamar versi e pensieri!
Un saluto di cuore ai buoni e valenti Canavesani e al bel paese di Castellamonte; un ringraziamento agli organizzatori dell’inaugurazione, alla Società delle ferrovie canavese, agli ospiti generosi e cortesi della numerosa comitiva.

Anche il giornale satirico-caricaturale “Il Fischietto”, allora molto diffuso, dedicò una pagina all’arrivo della ferrovia a Castellamonte, con caricature del Sindaco, dell’arciprete, degli industriali ed altri.
Pier Alessandro Gallo, si sentì giustamente orgoglioso, esso aveva saputo tessere tutti i contatti che contavano: la Direzione delle ferrovie, le autorità statali preposte, il mondo delle finanze e le banche, i paesi vicini e quelli che ne avrebbero potuto avere giovamento e, non ultimo, gli imprenditori, amministratori e cittadini di Castellamonte.
Ricoprì ancora la carica di Sindaco per tutto il decennio, poi continuò l’attività amministrativa assolvendo ad altri compiti nel campo dell’istruzione e delle finanze.
La sua vita e la sua carriera, furono prematuramente interrotte dall’improvvisa morte sopraggiunta all’età di 49 anni il 15 gennaio 1901, lasciando la moglie e sei figli.
I funerali furono imponenti e con le numerose Autorità, accorsero in massa i castellamontesi per rendere l’ultimo omaggio all’uomo stimato e al Sindaco “della ferrovia”.
Il nostro ricordo della famiglia Gallo, finisce con Pier Alessandro e con il secolo XIX, anche se l’impegno e il protagonismo dei Gallo, continuò con il primogenito Domenico (1885-1967) sino all’avvento del Fascismo.



Etichette: , , , ,

Giacomo Robatto, un canavesano a Salvator de Bahia





La storia che vogliamo raccontare, è quella di uno dei pochi canavesani, emigrati in Brasile, che riuscirono a spezzare il cerchio della miseria ed avere fortuna in quel paese così lontano ed esotico e lo possiamo fare grazie ad un cospicuo numero di lettere inviate ai parenti.


Giacomo Robatto


Verso le ultime due decadi del secolo XIX iniziò la grande emigrazione italiana.
Inizialmente furono soprattutto le genti del nord-Italia ( veneti, lombardi, piemontesi) ad intraprendere la grande avventura, spinti dalla disperazione causata dalla grave crisi agricola ed attratti dal sogno di una vita migliore.
Il Brasile fu tra le prime mete alle quali si indirizzarono i nostri migranti, canavesesani compresi e la quota di arrivi raggiunse l’apice nella decade 1893 - 1903 con 538 mila unità, dei quali 40336 furono i piemontesi. ( fonte: Istituto Brasiliano di Statistica)
Perché il Brasile? Per diverse ragioni, ma soprattutto per il grande fascino rappresentato dalla vastità di terre fertili e incolte che esercitavano un forte richiamo per quei contadini ridotti alla miseria proprio dalla mancanza di terra.Inoltre un’efficace propaganda attuata dalle classi dirigenti e dalle compagnie di navigazione, le quali avevano interessi: le prime, di liberarsi del potenziale pericolo rappresentato da una grande massa di disoccupati e le seconde dal lucro economico, che ricavavano dal loro trasporto.
Il Brasile venne quindi percepitocome il luogo ideale per vivere bene e raggiungere in breve il sogno di diventare proprietari terrieri.

Giacomo Robatto                                                                                            

La realtà era, però, molto più prosaica. Il grande paese sudamericano, dopo anni di lotte e tensioni sociali, aveva abolito nel 1888 la schiavitù e i grandi proprietari terrieri, anche per spezzare la solidarietà e l’organizzazione cresciuta tra la gente di colore durante la lotta contro lo schiavismo, favorirono l’immigrazione e l’utilizzo della manodopera degli emigranti italiani che sostituì in buona parte quella prestata fino ad allora dalle persone usate in condizione di schiavitù.
In quanto bianco e cattolico l'immigrato italiano era trattato diversamente dagli schiavi di colore, ma la qualità della vita effettiva era di poco superiore, e poi le condizioni di lavoro difficili, la mentalità schiavista di molti proprietari terrieri portarono quelli di loro più intraprendenti ad abbandonare le campagne ed il sogno di diventare piccoli proprietari terrieri per avventurarsi nel settore dei servizi, nel commercio, al dettaglio e all'ingrosso, contribuendo notevolmente al rapido sviluppo delle città brasiliane.

Giacomo Robatto, nato nel 1856 originario di Borgomasino, fu uno di quelli: emigrato in Brasile all’inizio degli anni Ottanta dell’Ottocento, dopo una vita tribolata e avventurosa, riuscì ad impiantare a Salvador de Bahia una piccola tipografia, che con il tempo divenne una delle più rinomate della città.
Sarebbe interessante raccontare in modo compiuto la sua storia, come quella delle centinaia di canavesani recatesi in quell’immenso e lontano paese in cerca di fortuna, ma l’unica fonte alla quale possiamo attingere sono un pacco di sue lettere scritte ai parenti rimasti in Canavese.
Dalla loro lettura possiamo ricostruire brandelli di storia sua e dei suoi famigliari, sufficienti però a restituirci l’immagine di una famiglia che nell’emigrazione ha trovato quell’agiatezza che in patria non aveva e difficilmente avrebbe potuto avere.
Giulietta
Per tutti gli altri, meno fortunati o decisamente sventurati e poco avvezzi allo scrivere non ci resta che l’immaginazione.
La corrispondenza conservatasi e tenuta in serbo dalla famiglia Masi-Orsucci, copre uno spazio temporale che va dal 1910 al 1925, diradandosi poi progressivamente con il passare del tempo.
Da essa apprendiamo, che Giacomo Rubatto avrà, da una vedova brasiliana, certa Maria Barbosa, una figlia creola nata nel 1888 alla quale sarà imposto il nome di Giulietta.
La sorella del Robatto, Teresa rimasta in Italia sposa Giacomo Piana originario del “canton Piana” al tempo facente parte del comune di Quagliuzzo ora della frazione S.Giovanni di Castellamonte. I due si stabilirono a Strambino dove avviarono una panetteria.ed ebbero tre figli, uno dei quali, Marcello, si recherà in Brasile e sposerà la cugina Giulietta, intrecciando così la sua vita con quella dello zio Giacomo.
Il matrimonio avverrà a Salvador de Bahia il 4 gennaio 1908.

Le prime lettere di Giacomo Robatto sono successive al 1911, anno nel quale fece il suo primo ed ultimo rientro in Italia. Partito il 31maggio da Bahia con il vapore francese “Provance” arrivò a Genova il 13 giugno, dopo 14 giorni di navigazione e dopo altri due raggiunse Strambino dove abbracciò i parenti.
In quegli anni, la sua impresa tipografica era ormai avviata e aveva già raggiunto una buona condizione economica.
Nelle sue lettere sempre indirizzate al cognato con il quale, secondo le consuetudini si trattava tutti gli affari parentali, lo pregava anche di curare la spedizione in Brasile dei fusti di vino freisa e moscato dei fratelli Gancia di Canelli.
In una di esse si lamentava che in un invio di diciannove fusti di vino al momento del ritiro ne trovò tre vuoti e i rimanenti per la metà riempiti di acqua di mare.
Soprattutto però, si lamentava del genero Marcello, il quale a suo dire diventava padre di un figlio dopo l’altro, ma la famiglia la seguiva poco.
Lo aveva aiutato nel commercio del carbone, fornendogliene 14 vagoni, ma a suo dire dopo qualche mese non c’era più carbone, ma nemmeno soldi.
Lo accusava di avere scarsa volontà, di essere incline ai divertimenti: secondo lui non avrebbe mai fatto fortuna in quel paese.
Invita il cognato a “fare un passeggio” in Brasile, per rendersi conto di persona del comportamento di suo figlio.
Intanto, si fa costruire una casa a Praia Grande, nella località di Pirinperi in riva al mare, dove trascorre alcuni mesi dell’anno e medita di vendere la tipografia.

Nel 1915 l’Italia entra in guerra e il padre di Marcello, dopo tante imbarazzate scuse per non andare in Brasile, ne ha finalmente una valida: la guerra e rimanda il viaggio a “quando i mari saranno liberi”.
Le lettere del periodo di guerra ’15 – ’18 sono ridondanti di fede patriottica. Si augura che l’Italia “conquisti ciò che gli spetta”, che sconfigga i barbari tedeschi e termina le lettere con “W l’Italia, W il re, W i Savoia e avanti, sempre avanti”.
Per quanto riguarda lui, si adopera con altri connazionali per la raccolta di fondi da inviare al Consolato italiano.
Si lamenta sempre di Marcello, della sua scarsa operosità e della sua superbia, in quanto non accetta i suoi consigli.
Suo padre, probabilmente sensibile alla lamentele del Robatto, scrive a Marcello offrendogli la gestione della panetteria di Strambino, se fosse rientrato in Italia, ma Marcello gli risponde che ritornerà in Italia “solo quando sarà ricco”.
Giacomo Robatto, che doveva essere una persona sensibile, viste le condizioni economiche precarie della figlia e del genero, divide con loro la sua grande casa e fornisce loro ogni genere di aiuto.
Con il passare degli anni, siamo già dopo la prima guerra mondiale, Marcello deve aver “messo la testa a posto” con grande soddisfazione del suocero, che non si lamenta più di lui, anzi ne tesse le lodi.
Probabilmente il Rubatto, che si avvicina ormai alla settantina, lo introduce nei sui “negozi” e nelle sue attività, e Marcello si responsabilizza.
Non si capisce quale sia il suo ruolo, cosa esattamente faccia: nelle lettere di Marcello alla famiglia non vi sono riferimenti precisi, solo convenevoli e annunci di nascite di nuovi figli. Ne avrà nove, sei maschi e tre femmine.
Il resto sono richieste di invio di stoffe di lino, per fare “vestimenta”, cataloghi e prezzi delle macchine italiane, in particolar modo delle Fiat e la curiosa richiesta a suo padre di cercargli, nel Canavese, un bel esemplare di mulo, alto almeno metri 1,60, per usarlo da stallone nelle “fazende” brasiliane.
Nelle lettere di Giacomo Robatto al cognato, alle lamentele per Marcello, subentra la nostalgia dell’Italia. Sogna il rientro in patria; vuole portare almeno due dei suoi nipoti in qualche buon collegio di Torino, affinché abbiano un’educazione italiana; più di ogni altra cosa desidera passare gli ultimi anni della sua vita nella sua terra, nel Canavese e tra la sua gente.

Nell’ottobre del 1920, Marcello scrive ai suoi genitori a Strambino, la lettera è contornata da un’ampio bordo nero: “ lo zio Giacomo, il 18 di settembre 1920, si imbarcò per la capitale Rio de Janeiro per divertirsi e assistere alle feste in onore di re Alberto del Belgio, però il giorno 30 alle 4 e mezza improvvisamente moriva di un attacco di uremia (retenzione di urina). La costernazione fu generale, e immaginatevi la nostra desolazione! Piangiamo chi in vita fu un lavoratore indefesso, buono, generoso, di un carattere senza macchia e sopra tutto onesto. Il cadavere è stato seppellito provvisoriamente a Rio de Janeiro, ma fra tre anni, dopo aver costruito una tomba degna, sarà trasportato e seppellito in Salvador de Bahia.”
La successiva lettera di Marcello informa la famiglia, che lui è stato nominato esecutore testamentale e che lo zio Giacomo aveva disposto che tutte le terre e proprietà, avute in eredità da suo padre e situate in Italia vadano ai parenti italiani.
Le proprietà brasiliane in terreni, le “Fazendas”, le case, il denaro, andarono invece alla figlia Giulietta, a Marcello e ai loro bambini e non vi sono ragioni da dubitare che non ne fecero buon uso.
Marcello Piana morirà in Brasile il 4 agosto 1948 all’età di 62 anni. I suoi nove figli e gli innumerevoli nipoti e discendenti fanno parte oggi, di quella che secondo fonti diplomatiche italiane, è la più grande comunità di origine italiana fuori d’Italia, e che è stimata in 25 milioni di persone.

                                                                                                                               Emilio Champagne






 

 

Etichette: , , , ,

giovedì 17 gennaio 2013

Domenico Gallo: patriota, parlamentare e uomo di cultura.





Avv.Domenico Gallo
Poco ricordata e conseguentemente poco conosciuta dai castellamontesi dei giorni nostri, la famiglia Gallo fu in realtà la più rilevante ed influente di Castellamonte per tutto il secolo diciannovesimo.
Costituitasi nella seconda metà del Settecento dall’unione di Pietro Gallo, con Elena Talentino1) : la famiglia iniziò la sua attività nel campo dell’artigianato per poi svilupparsi industrialmente.
Pietro Gallo e la sua sposa Elena Talentino sono considerati i capostipiti delle fortune della famiglia.

Sul finire del Settecento, esistevano a Castellamonte tre affaiterie di concia delle pelli: due si trovavano nel Cantone Fontana tra il rione S. Rocco e la roggia dei molini ed erano di proprietà una dei fratelli Bertinatti e l’altra di Giovan Antonio Meuta. La terza di proprietà di Domenico Felizzatti era posta in una piccola porzione di area ora occupata dal centro commerciale Bennet e prima dalla conceria C.A.I. 2)
Pietro Gallo entrò in società con il Felizzatti, probabilmente apportando capitali e occupandosi della parte commerciale ed assieme acquistarono la vasta area compresa fra la “rutanova” a nord (via Educ), la roggia comunale a sud, l’attuale chiesa ad est e la strada per Rivarolo ad ovest. Sul finire del Settecento, Pietro Gallo iniziò la costruzione di una casa signorile accanto alla conceria la cui facciata era prospiciente alla “Rutanova” l’attuale via Educ.

Nel periodo napoleonico troviamo Pietro Gallo, membro della Municipalità insediata il 17 luglio 1800, dal commissario governativo Camillo Moretta.
Forse grazie al periodo napoleonico che dette nuovo impulso alle attività artigianali, con le cospicue commesse atte a soddisfare le necessità di cuoio usato abbondantemente dagli eserciti, l’attività della conceria si sviluppò e gestita con criteri moderni si trasformò in uno stabilimento industriale, divenendo nei primi decenni dell’Ottocento la più grande conceria del circondario e la terza del Piemonte.
Gli affari dovettero andar bene ed i proventi gestiti con parsimonia crebbero in breve tempo a cospicua fortuna.

Don Giuseppe Gallo

Fratello del capostipite Pietro era don Giuseppe Gallo nato nel 1741, morì quasi novantenne nel 1837 dopo aver ricoperto per più di quarant’anni la carica di viceparroco a Castellamonte. Negli ultimi anni della sua vita, donò lire 4000 per la costruzione di una nuova chiesa, che già in quegli anni si pensava di realizzare.

Don Gallo fu ricordato dai contemporanei come un filantropico benefattore, che dotò la chiesa di “preziosi e splendidi arredi”. Descritto come ricco ed agiato, viveva poveramente, dedicandosi a soccorrere in ogni modo i bisognosi, i poveri e gli ammalati, cui egli largamente soccorreva, quando visitava e andava loro ad amministrare i conforti spirituali. 3)
Don Giuseppe Gallo, assieme al conte Maurizio 4), all’Arciprete Nigra ed a don Sebastiano Marino si impegnarono il 3 ottobre 1832 a versare lire 6000 ciascuno, alla Congregazione di carità, che si impegnava a far arrivare 3 suore dell’ordine di San. Vincenzo per provvedere a due scuole femminili e per curare i poveri in apposito locale. Altri castellamontesi concorsero in seguito con ingenti somme sino a raggiungere la cifra di lire 93.000, sufficiente ad ottenere l’autorizzazione superiore per l’istituzione sia delle scuole femminile 5) che di un ospedale. Fu acquistata una cascina e relativi terreni, in prossimità del ponte S.Pietro. Nel 1838 vi si trasferirono gli anziani poveri, in precedenza ospitati in un’umile dimora posta all’estremità orientale della via Rutanova e le scuole femminili. L’edificio rimodernato ed ampliato divenne l’ospedale che funzionò sino agli anni ’70 del Novecento e il cui edificio è ancora esistente ai nostri giorni. 6)

L’avv. Domenico Gallo

Se don Giuseppe Gallo fu quel sant’uomo che ci viene tramandato, il fratello Pietro dovette invece far fronte alla sua numerosa famiglia.
Pietro Gallo ed Elena Talentino ebbero quattro figli viventi, due maschi Domenico e Giuseppe e due femmine Costanza e Marianna. Costanza prese i voti e diventò suor Luisa, mentre Marianna andò in sposa a Giuseppe De Saint- Bonnet.
I due maschi furono entrambi avviati agli studi giuridici. Giuseppe, che tramandava il nome dello zio, ebbe la sfortuna di morire in giovane età: mori il giorno stesso della sua laurea ad avvocato il 24 settembre 1850. Come lo zio fu un benefattore di Castellamonte: lasciò una cospicua somma per l’istituzione di un asilo infantile

Domenico, fu quindi il continuatore della stirpe dei Gallo e se il padre Pietro costruì la fortuna economica, lui seppe conservarla dando stima ed autorevolezza alla famiglia.
Di carattere sensibile, volenteroso ed inclinato agli studi era nato nel 1818.
Ancora ragazzo frequentò il collegio convitto di Cuorgnè ottenendo, nell’anno scolastico 1834 - 1835 un premio di studio in retorica, concesso dalla locale Amministrazione comunale. Continuando gli studi di giurisprudenza il 3 luglio 1838 si diplomò alla Regii Athenaei et Rei Literariae e infine conseguì la laurea in Legge alla Regia Università di Torino il 27 luglio 1841 con una tesi di laurea dal titolo: Ex iure civili – Ex iure eclesiastico.
Dopo la laurea fece pratica presso lo studio del giureconsulto Fraschini, che divenne in seguito presidente della Camera.
Gli studi universitari, lo portarono a frequentare gli ambienti culturali di Torino dove venne in contatto con quelli liberali torinesi, attivi in quegli anni, nei quali germogliavano le nuove idee di libertà e di unità nazionale.

Domenico Gallo, divenne un fervente promulgatore fondando a Castellamonte il primo Circolo liberale, che radunò al suo interno giovani idealisti come lui, maturi esuli della fallita cospirazione del 1821 come Modesto De Stefanis e Bartolomeo Borella e qualche superstite giacobino del periodo francese.
Fu probabilmente negli anni della laurea che iniziò la frequentazione di una giovane residente a Torino, ma di origine castellamontese. Si chiamava Angiola Talentino. I Talentino avevano rilevato nel 1824 una rinomata ed antica tipografia di proprietà di Antonio Ghiringhello ultimo discendente di una famiglia originaria di Torre-Bairo. 7)

La tipografia, posta in via Stampatori, sino al 1842 rimase di proprietà dei Talentino. In seguito, fu ceduta al Baricco il quale associatosi con Arnaldi, dettero vita alla tipografia Baricco & Arnaldi, che pubblicò la “Gazzetta del Popolo”.

L’avv. Domenico Gallo si sposò in Torino il 3 ottobre 1842, con Angiola Talentino sua cugina. Per la seconda volta la sua famiglia si intrecciava con quella dei Talentino e si cementò ulteriormente, anche grazie alla solidale amicizia tra Domenico e il cognato Antonio Talentino. 8)
Di qualche anno più giovane, Antonio, era nato nel 1823, anche lui avvocato fu un fervente patriota, amico e collaboratore di Giacomo Lignana, Domenico Carbone, Costantino Nigra. Frequentò le lezioni di eloquenza di Pier Alessandro Paravia nella cui scuola prese parte alle consuete gare settimanali di poesia divenendo egli stesso un apprezzato scrittore di poesie.
Tra Domenico Gallo e il cognato Antonio Talentino , oltre all’amicizia fraterna s’instaurò un rapporto di collaborazione che li vide partecipi della vita politica e amministrativa di Castellamonte e del Canavese.

Entrambi fecero parte dell’enturage di Massimo d’Azeglio, 9)  il quale nel 1845 con la scusa di un viaggio turistico con scopi artistici visitò la Romagna, le Marche e la Toscana. Fu l’occasione per entrare in contatto con la cospirazione carbonara e mazziniana, della quale però trasse il convincimento che la lotta per l’Italia unita doveva svolgersi alla luce del sole e dopo il fallimento dei moti scoppiati a Rimini nel settembre del 1845, pubblicò un opuscolo (Gli ultimi casi di Romagna) nel quale condannò le congiure segrete ed esortò gli italiani a confidare in Carlo Alberto. Il pensiero politico dell’Azeglio andava affinandosi e nel 1847 pubblicava un opuscolo: Proposta di un programma per l’opinione pubblica nazionale italiana nel quale esplicitava il suo pensiero politico.
In quel triennio che precedette il 1848 e gli anni fatali del processo di unificazione nazionale, il pensiero liberale cercava ancora una sua strada che conducesse al progresso e all’indipendenza nazionale. Diverse erano le proposte politiche e diversi erano gli uomini che di esse si facevano promotori.
Domenico Gallo era a quei tempi un liberale moderato, che si rispecchiava nella politica di Massimo d’Azeglio e alla quale in qualche modo si era legato.

Nel 1847, anno in cui il d’Azeglio è impegnato nel portare avanti la sua proposta politica, si recò nel Granducato di Toscana, a Pisa, ufficialmente per motivi di salute, ma sappiamo dalla corrispondenza e dalla testimonianza del cognato avv. Antonio Talentino, che si adoperò per allacciare contatti e diffondere le proposte politiche di Massimo d’Azeglio.

L’avv. Antonio Talentino, ricordando Domenico Gallo ebbe a scrivere:

Fremevano i tempi di un ardito presentimento di grandi cose avvenire e nel soppiatto s’adoperava. Ammesso egli con taluno dè suoi alle più strette confidenze, fu dei più zelosi alla propaganda dell’era nuovissima. …a Pisa incontrò gli osteggiamenti della polizia pel risoluto procedere concordato con Massimo d’Azeglio ed altri dei quali è venerato il nome dagli Italiani, e tra cui mi è dolce il ricordo del Massimo Mautino di Agliè.

In quel viaggio svoltosi a cavallo tra il 1847 e 48 raggiunse anche Roma dove fu testimone diretto dei disordini avvenuti al colle del Quirinale l’1 e il 2 gennaio 1848, tra il popolo guidato da Angelo Brunetti detto “il Ciceruacchio” e la polizia.

Domenico Gallo descrive la tensione di quei giorni in una lettera ad Antonio Talentino che in quei giorni si trovava a Firenze.
Ritornato in Piemonte si adoperò, soprattutto a Castellamonte, a sostenere le richieste di nuove libertà.
Il 4 marzo 1848 finalmente, Carlo Alberto promulgò lo Statuto e con esso si dischiusero per il Piemonte le prime libertà fondamentali.
Anche a Castellamonte, come in tanti paesi del Regno, lo Statuto venne accolto con grandi festeggiamenti.
Un gran falò fu acceso sulla piazza e il Municipio illuminato da numerose fiaccole, mentre sulla spianata del castello fuochi di gioia e mortaretti stupivano il popolo accorso in gran numero per le strade, più sorpreso che convinto della novità.
A festeggiare con animo cosciente erano gli intellettuali e la piccola e media borghesia, vecchi giacobini e notabili del periodo napoleonico, che la reazione aveva domato, ma non spento in loro l’idea di libertà e soprattutto quei patrioti come Modesto Destefanis 10) e Bartolomeo Borella 11), che per la loro adesione ai moti del 1821 avevano dovuto patire l’esilio.
Detto ciò, non bisogna pensare che con lo Statuto e gli avvenimenti che seguirono, a Castellamonte si operassero grandi cambiamenti a livello di persone e notabili locali.
I nostri amministratori erano da secoli dotati di grande spirito di adattamento e a parte le rarissime eccezioni, se cambiava la musica i suonatori erano sempre gli stessi.
Il Consiglio comunale in carica, all’entrata in vigore dello Statuto, era guidato dal sindaco Giovan Battista Meuta 12) ( un Meuta fu già sindaco durante il periodo napoleonico ) e rimarrà in carica sino alla fine del 1848.
Durante l’anno si applicarono le nuove disposizioni amministrative.
Castellamonte fu inserito nel collegio elettorale di Pont e Locana ed elesse come suo primo deputato al parlamento Subalpino, il medico Modesto Destefanis.
Venne rinnovata l’Amministrazione comunale e primo sindaco liberale fu l’avv. Domenico Gallo, entrato nelle sue piene funzioni il primo gennaio del 1849.

Castellamonte all’epoca sfiorava i 6 mila abitanti, prevalentemente dediti all’agricoltura, aveva però già sviluppato un’importante attività artigianale nella produzione di pellami, cappelli e ceramiche, alcune delle quali si stavano evolvendo in senso industriale.
I problemi, certo, non erano mai mancati, ma quelli che dovette affrontare il neo-sindaco nei mesi successivi alla sua nomina, furono veramente drammatici.

Subito dopo la concessione dello Statuto, iniziò la prima guerra di indipendenza .13) Castellamonte, si mobilitò per sostenere i nostri soldati partiti alla guerra contro gli austriaci, spedendo gran quantità di biancheria e partecipando alla sottoscrizione per dotare la fortezza di Alessandria di 100 cannoni.
Grande fu dunque lo sconforto quando il 23 marzo 1849 avvenne la disfatta di Novara 14) e Carlo Alberto abdicò e partì per l’esilio.
Drammatiche furono le conseguenze per Castellamonte, in quanto a seguito della sconfitta giunsero il 25 marzo in paese circa 15 mila soldati sbandati, laceri ed affamati che imposero minacciosamente alla popolazione la consegna di indumenti e vettovaglie.
Il sindaco Domenico Gallo si trovò in una delicata situazione: da una parte le necessità della truppa e dall’altra le resistenze della popolazione, che rischiava di far precipitare la situazione.
L’Amministrazione comunale seppe in questi difficili frangenti gestire la situazione con calma e determinazione, bloccando i più facinorosi e affrontando la situazione.
Il Sindaco costituì un consiglio di sicurezza composto dai membri del consiglio e volontari che gestì l’ordine pubblico, mise a disposizione la casa comunale, quelle delle confraternite e della chiesa per ospitare i soldati che continuavano ad affluire e acquistò dai paesi vicini grandi quantità di viveri, riuscendo a scongiurare atti di saccheggio e brigantaggio . 15)
Ritornata la calma, sull’onda emotiva degli avvenimenti vissuti dal paese, Domenico Gallo si fece promotore dell’istituzione della Guarda Nazionale, un corpo di volontari militarizzati che avrebbero dovuto garantire la sicurezza pubblica e le libertà appena conquistate.
Il 22 aprile convocava tutti i membri che si erano dichiarati disponibili, sulla piazza principale per ilgiuramento ufficiale, ma in pochi si presentarono e in maggioranza erano quelli che avrebbero dovuto formare il corpo degli ufficiali.
Tutt’altro che scoraggiato, il Sindaco fece giurare i presenti e in seguito ricordato alla popolazione che erano stati i cittadini a chiedere sicurezza e armi per difendersi, il Comune le aveva provviste; i cittadini avevano voluto un sergente istruttore e un capo tamburo e il comune li aveva assunti. In totale si erano spese lire 1800 per la Guardia Nazionale ed ora, pretendeva che quei soldi dovevano essere fruttiferi.
Questa serietà di propositi e le lettere di ammonizione a quelli che avrebbero dovuto venire al giuramento, fecero si che alla spicciolata essi si presentarono in Municipio per il giuramento e la Guardia Nazionale di Castellamonte, fu eretta a battaglione con 5 compagnie e la banda musicale e fu classificata fra le prime della provincia.
Nel 1851 essa si distinse per l’efficienza e il coraggio dimostrati nel garantire la sicurezza alla cittadinanza e per l’arresto dei ladri e briganti che infestavano il territorio.
Nel 1852 la discordia cominciò a serpeggiare e le accuse di imperizia venivano scambiate reciprocamente tra i consiglieri e il comandante di battaglione. La Guardia Nazionale vivacchiò ancora qualche anno poi si avviò alla definitiva decadenza . 16)


La chiesa parrocchiale

Superate le necessità impellenti di ordine pubblico, l’amministazione dell’avv. Domenico Gallo si trovò ad affrontare un problema di grande importanza.
Sin dal 1842, Castellamonte si trovava sprovvisto di una chiesa parrocchiale, in quanto quella antica, addossata al campanile era stata abbattuta nel 1842.
Arch.Alessandro Antonelli
L’antica chiesa, pur di modesto aspetto, offriva spazio sufficiente per gli abitanti di Castellamonte, inoltre esistevano nel concentrico altre tre chiese di discrete dimensioni che certo soddisfavano le esigenze dei parrocchiani. Tratti dall’esempio di alcuni paesi vicini e sollecitati da qualche lascito per la chiesa parrocchiale, i cittadini manifestarono il desiderio di restaurare l’antica chiesa, o come suggerivano altri di ricostruirla.

Il vescovo Luigi Moreno venuto a Castellamonte, tanto disse, tanto operò e tanto promise che i castellamontesi colti all’inganno, si lasciarono indurre alla costruzione di un nuovo mirabile tempio ed all’atterramento dell’antica chiesa. 17)
Costituito un Comitato di chiesa si decise di costruirne una nuova, di proporzioni gigantesche come nessuna altra esisteva in Canavese e difficilmente si sarebbe potuto eguagliare. Ad assecondare queste insane manie di grandezza del Vescovo Luigi Moreno 18) , fu l’arch. Alessandro Antonelli 19), che probabilmente informato dal suo collega arch. Antonio Talentino Mussa 21) di Castellamonte (entrambi lavoravano nello studio dell’arch. Ferdinando Bonsignore a Torino) giunse a Castellamonte per un sopraluogo.
L’Antonelli, era un architetto eclettico sempre alla ricerca dei limiti edificativi della sua arte. Il suo sogno era la costruzione di una grande cupola, al limite della edificabilità per le tecnologie dell’epoca. Ci aveva già provato anni prima, con la costruzione del Santuario di Boca nel novarese, dove la costruzione della progettata cupola dovette essere sospesa causa pericoli di crolli e ci proverà ancora senza successo una decina di anni dopo Castellamonte, con la costruzione della parrocchiale di Borgolavezzaro.
opera e i progetti per realizzare una chiesa gigantesca dal diametro di poco inferiore a S.Pietro in Roma.
Giunto a Castellamonte ascoltò il Consiglio di chiesa, osservò e si convinse che esistevano le condizioni per esercitare il suo ingegno, quindi offrì gratuitamente la sua opera.


Nel maggio del 1842, sollecitò l’abbattimento della vecchia chiesa per far posto al cantiere e per avere materiale da costruzione per quella nuova, quindi si procedette alla demolizione e subito dopo il 9 giugno si benediceva la posa della prima pietra.
Il vescovo e il Consiglio di chiesa avevano anche convinto il passato Consiglio comunale a stanziare 2100 lire annue per 10 anni, più i residui di bilancio sino al compimento della chiesa.
Immensa era però la distanza tra il desiderio di elevare un tempio che gareggiasse con i più maestosi d’Europa e i mezzi per portarlo a termine.
Per qualche anno si lavorò alacremente, poi sopraggiunsero i problemi: consumati i lasciti, stancati da continue richieste di elargizioni e dalle fatiche per le “roide” imposte ai cittadini, delusi ed arrabbiati gli amministratori comunali che vedevano prosciugato l’erario, mentre il Vescovo continuava a disattendere alle promesse economiche che ammontavano a lire 40.000 ed acquistava i materiali da altri paesi, i più assennati si resero conto dell’assurdità dell’impresa. Il Comune pubblicò l’elenco delle somme versate, che ammontavano a lire 63.345 su 80.000  21) spese in contanti. Così nel 1845 i lavori furono sospesi e la Commissione per la chiesa andò a catafascio.

L’instauramento della libertà in Piemonte chiamò a reggere il Comune, nuovi uomini che più degli amministratori precedenti si rammaricarono di aver sciupato tante ricchezze per un progetto dissennato, quando si sarebbero potuti spendere nella pubblica istruzione, nel migliorare le strade e nel ridurre le tasse ai contribuenti.
Intanto nel 1849, moriva l’arciprete don Ubertino Rattonetti e la Giunta dell’avv. Domenico Gallo propose al Vescovo di non procedere alla nomina del sostituto e di utilizzare la ricca congrua parrocchiale stimata in lire 120mila per portare a termine parte del progetto della nuova chiesa riferito al coro, in modo da utilizzarlo come tempio e rimandare a tempi migliori la costruzione della chiesa. Monsignor Moreno rispondeva che se il comune elargiva 50mila lui avrebbe portato a termine la costruzione.
In Comune, visti i trascorsi non si fidava, e pretese che prima il coro fosse portato a termine a spese della chiesa.
Si scatenò una forte polemica e il paese si divise tra quelli che accusavano l’Amministrazione comunale di essere contro la religione e quelli che dicevano che il Vescovo aveva buttato giù la chiesa e adesso doveva ricostruirla a sue spese.
Il Sindaco avv.Gallo,
“desideroso di chiamare a consulta i cittadini in affare di tanto rilievo, indisse una seduta pubblica, scese le aule municipali e in aperto convocati i cittadini, diede ampio ragguaglio della vertenza, lesse le note dell’una e dell’altra parte, chiamò a discussione la questione, indi pregò i cittadini manifestassero le loro intenzioni alle quali sarebbesi strettamente attenuto. Il popolo si avvide chiaramente che nulla si prometteva da Monsignore, che intendevasi solo spogliare il paese di ogni suo denaro pubblico, il che, si ripete, era un nonnulla a fronte di quanto sarebbe rimasto a farsi; avvertì che il Municipio aveva prudentemente operato e unanimemente pronunciò si repellessero le proposizioni in questa nota contenuta”
Allora i delegati si congedarono e recatesi in municipio, eccitarono un’energica deliberazione.
In poche parole, questa deliberazione affermava che la chiesa doveva essere costruita con i beni ecclesiastici e consultati saggi giureconsulti si chiamò in giudizio il vescovo Luigi Moreno.
Gli strascichi di questa vicenda continuarono e come ci tramanda una memoria tratta dall’archivio Gallo,
il Comune di Castellamonte si vide in ogni modo tesi gli agguati da Mons. Vescovo d’Ivrea e dove l’avvedutezza non fosse stata compagna in ogni deliberazione al Municipio, sarebbesi da Monsignore mandato in rovina un intiero paese per la gloria di avere eretto sotto il suo episcopato si mirabile monumento al quale egli non avrebbe concorso con l’obolo della ricca mensa vescovile, ma soltanto con l’omaggio di rugiadose parole e di sante benedizioni.

Le contrapposizioni tra clericali e liberali già accentuate a livello nazionale, a Castellamonte ebbero un motivo in più. Se per gli uni il clero era descritto come nemico del progresso e i fedeli bigotti superstiziosi, gli altri sobillavano il popolino per cui la crittogama (oidio) che devastava i vigneti era un castigo di Dio e le istituzioni liberali opera del demonio.
Iniziò così a metà Ottocento una contrapposizione tra Comune e chiesa, che caratterizzò i decenni successivi sino alla prima Guerra Mondiale, anche se l’avvento del nuovo arciprete, don Giov. Battista Mattè (22), ( dicembre 1851), non voluto e male accolto, grazie alla sua profonda cultura e apertura mentale, seppe calmare gli animi riuscendo a farsi apprezzare dalla stessa Amministrazione comunale.

L’attività amministrativa

Accantonato il problema della chiesa, che si trascinerà ancora per più di vent’anni, l’Amministrazione Gallo, impresse alla municipalità un ruolo dinamico per la realizzazione di un programma innovativo.
Per trent’anni, dal 1848 al 1879 anno della sua morte, Domenico Gallo fu il protagonista di detto periodo, o come meglio scrive il Giorda (23), la consorteria Gallo-Talentino influenzò in ogni modo la vita politica amministrativa di Castellamonte.
Per gran parte di questo periodo fu direttamente Sindaco e per il periodo rimanente fu sempre molto influente.
Il 30 gennaio del 1852 veniva a mancare il medico Modesto De Stefanis deputato del collegio di Pont. A sostituirlo fu chiamato l’avv. Domenico Gallo che il 1 marzo 1852 fece il suo ingresso al Parlamento subalpino. Nel 1853 venne rieletto e rimase in Parlamento sino al termine della legislatura.
Scrisse l’amico avv. Antonio Talentino: lasciò negli amici e colleghi desiderio grande del suo ritorno al Parlamento, ritorno che egli, uomo singolarmente modesto ed amico della vita campestre, non cercò mai e che a lui fu conteso da miserrima invidia.

Se l’esperienza parlamentare fu indubbiamente significativa per il prestigio personale, quella amministrativa svolta a Castellamonte fu quella che maggiormente lasciò traccia del suo operare.
Grande importanza venne data all’istruzione pubblica a tutti i livelli. Furono incentivate le scuole di frazione in modo da alleggerire le scuole del capoluogo e affinché “la scienza sia meglio diffusa”. Nel 1853, il capitolo istruzione assorbiva un quarto del bilancio comunale. Nel 1855 si istituì l’asilo infantile, per bimbi inferiori ad anni 7. Istituzione questa giudicata molto utile, in quanto nella società dell’epoca, la grande quantità di persone occorrenti per i lavori agricoli e in generale con la necessità di ognuno di adoperarsi per provvedere al sostentamento quotidiano, portava alla trascuratezza dei bambini.
Significativi lasciti in denaro per l’istituzione dell’asilo furono quelli di Antonio Talentino Mussa, valente architetto, deceduto 8 febbraio 1853 a Torino a soli 47 anni e quelli dell’avv. Giuseppe Gallo, fratello del Sindaco Domenico, mancato non ancora trentenne il 24 settembre 1850, il giorno stesso del conseguimento della laurea.


L’asilo, si sviluppò rapidamente e nel 1862 i bimbi accolti erano 270; l’ispettore cav. De Castro, designava in una sua relazione alle autorità superiori l’asilo di Castellamonte come Istituto modello e vi delegava le ragazze a farvi tirocinio per diventare maestre d’asilo.
Un ruolo importante nella gestione dell’asilo lo avevano le suore vincenzine, le quali dovettero sostenere non poche battaglie, contro lo spirito anticlericale delle autorità superiori, come quella del 1857 quando si tentò di allontanarle in quanto prive delle prescritte patenti di idoneità.
La battaglia fu vinta grazie all’appoggio dell’Amministrazione comunale, la quale, messe da parte le convinzioni ideologiche, con molto realismo e un pizzico di calcolo, le sostenne facendo notare i gravi oneri che la sostituzione delle suore avrebbe portato alla comunità.
Si ottenne così una proroga provvisoria di un anno, durante la quale, le religiose regolarono la loro posizione e l’asilo fu salvo.
I rapporti con l’arciprete Mattè erano buoni, il Sindaco lo ringraziò pubblicamente per la collaborazione che aveva dato per l’istituzione e il buon andamento dell’asilo. Da allora, pur restando ognuno con i propri convincimenti, si instaurarono rapporti più cordiali.

Ristrutturazione del Palazzo comunale e acquisto di Palazzo Botton

Come abbiamo visto i lavori per l’edificazione della gigantesca parrocchiale erano stati sospesi a fine 1845, e il Comune estraniandosi dai problemi della chiesa, aveva rivolto le sua attenzioni al restauro dell’antico municipio. I documenti dell’epoca ci dicono che l’arch. Alessandro Antonelli fornì i progetti per la sua ristrutturazione e per il rifacimento della facciata, quale ora possiamo ammirare.
Questo comportamento dell’Antonelli è quanto meno curioso: in piena lite tra Comune e comunità parrocchiale, fornisce (sembra gratuitamente) i progetti per il municipio, contribuendo così a creare con la ristrutturazione del Palazzo comunale, una sorta di concorrenza all’edificazione della nuova chiesa. Si trattò di una sorta di favore per indurre il Comune a continuare il finanziamento della chiesa? Oppure un risarcimento per le notevoli somme già sborsate?
Sulla vicenda della “Rotonda”, sul ruolo dei protagonisti e sul motivo dell’interruzione dei lavori vi è ancora molto da ricercare e scrivere e l’acquisizione di nuovi documenti potrebbero far nascere nuove ipotesi, compresa quella che qualcuno o l’Antonelli stesso, si accorse dell’impossibilità tecnica di terminare il progetto così come era stato promesso.
Comunque sia, nel 1851-52 si tornò a por mano alla ristrutturazione del Municipio.
Negli anni seguenti si ripresentò l’occasione di acquistare Palazzo Botton, le cui trattative erano iniziate sin dal 1835 e si era arrivati alla possibilità di acquistarlo per 16mila lire, un prezzo veramente conveniente, tanto più che per il vecchio municipio si erano già spese 28 mila lire.
Valutata l’occasione e considerato che sarebbero serviti entrambi il 25 maggio 1855 si stipulava l’atto di acquisto.
La sede del municipio fu trasferita a palazzo Botton, il cui giardino antistante fu trasformato in piazza.
Altri importanti interventi edilizi effettuati nel periodo in cui Domenico Gallo ricopriva la carica di Sindaco, furono la costruzione del porticato per il mercato coperto nell’attuale via Massimo d’Azeglio e l’allargamento della “rutanova” (via Educ) da mt 3.60 agli attuali mt. 7

Istituzione del convitto e delle scuole tecniche.

Liberatosi il palazzo comunale, grazie all’acquisto di palazzo Botton dove era stata trasferita le sede del municipio, nell’edificio fu possibile radunare tutte le classi della scuola elementare. Nel 1860 si aiutò economicamente la Congregazione di Carità per l’istituzione della terza e quarta femminile.

Inoltre fu avviata una scuola serale, grazie alla disponibilità del prof. Secondo Musso nella quale si insegnava calligrafia, italiano, francese, storia e geografia. L’affluenza fu notevole e anche le donne espressero il desiderio di parteciparvi. Il Musso si offrì di tenere gratuitamente anche una scuola tecnica domenicale, alla quale si iscrissero in più di cento.
Contro questa scuola serale, e soprattutto contro il professor Musso insorse il clero che diffidava della fede protestante dell’insegnante, per non parlare poi della scuola femminile domenicale, che rischiava di distogliere le donne dalle funzioni religiose. L’intervento del parroco ridusse presto il numero di partecipanti ad una trentina.
I contemporanei lasciarono scritto che l’ostilità della chiesa contro il prof. Musso era totalmente immotivata: egli era uomo equanime e spassionato, ben lungi da portare nelle sue lezioni quegli accenni subdoli e loioleschi che solo la grettezza poteva var temere, nessuna ragione giustificare. Le 30 donne che, sfidando l’ira del confessionale, frequentano assidue la scuola, mostrano l’indipendenza dei castellamontesi, fanno giustizia d’ogni accusa, condannando gli stessi accusatori. (24)

Da qualche anno si andava pensando di istituire a Castellamonte delle scuole superiori, in quanto molte erano le fabbriche di ceramiche, di cappelli, le concerie ed altre e vi era necessità di procurare ai giovani una formazione tecnica, necessaria al progresso loro e delle industrie.
Promotore dell’iniziativa di istituire le scuole tecniche, con annesso un collegio convitto fu l’avv. Antonio Talentino in quale, con il sostegno del Comune e approntate tutte le pratiche riuscì ad ottenere i sussidi governativi e ritenuto che detta scuola sarebbe stata un richiamo per gli studenti del circondario fondò un collegio-convitto.
Ottenuto l’approvazione, il Comune destinò il piano terreno dell’antico palazzo per le scuole elementari, il primo piano per le scuole tecniche ed il secondo per il convitto.
L’insegnamento era gratuito ed espletato da 4 professori; gli studenti che usufruivano del collegio, potevano scegliere tre tipi di pensione mensile: 32 lire la completa, 18 la media e 10 la minima.
Rettore del collegio-convitto fu nominato Bartolomeo Giaroli e l’inaugurazione avvenne il 7 novembre 1859.
L’opera fu avviata bene e in seguito, il 3 marzo 1862 riuscì ad ottenere la parificazione con quelli statali e a dare il via nel nuovo anno scolastico alla sezione di fisica e matematica.
L’impegno, che il comune doveva avere nel campo dell’istruzione, era considerato importante dall’avv. Domenico Gallo che sempre sostenne con vigore questa necessità e che portò Castellamonte tra i paesi più alfabetizzati del Piemonte e avuto riguardo al numero degli abitanti con il doppio di Ivrea degli studenti delle scuole tecniche.
Il vanto che il Comune poteva fare nel campo dell’istruzione, non era però condiviso da tutti. Ecco cosa scriveva l’avv. Antonio Talentino in una memoria datata 26 dicembre 1878:

Sin dal principio di questa istituzione di scuole, il comune di Castellamonte vide scindersi il campo elettorale, tra i fautori dell’inaugurato sistema e i suoi acerrimi oppositori.
Non occorre dire, è troppo noto, la fazione clericale acerba nemica di ogni scuola che non sia eretta da chiesastici, s’adoperò con ogni arte per nuocere al buon nome delle scuole e in ciò trovò favore presso i contribuenti, ai quali è sempre grave l’imposta anche se diretta al miglior beneficio. Non trascorse anno che delle più lievi inconvenienze quali avvengono in tutte le istituzioni di pari natura non siasi levato il più maligno scalpore non siasi fatto argomento di scritti e di sollecitate ispezioni straordinarie. (25)

Nonostante queste difficoltà il collegio e le scuole tecniche sopravvissero sino agli anni ottanta, finchè vennero meno le loro funzioni per le riforme intervenute nel campo della scuola e per il cambiamento dei tempi, ma l’iniziativa rimase un vanto per Castellamonte.
Durante il periodo amministrativo, contrassegnato dall’opera dell’avv. Domenico Gallo si dette impulso allo sviluppo del paese anche in altri settori, come il miglioramento dei trasporti. Nel 1852 si dibatteva il tracciato della ferrovia Chivasso - Ivrea e si tentò in ogni modo, anche minacciando l’uscita dalla provincia d’Ivrea, di condizionare i progettisti affinché il tracciato, anziché lambire la provincia di Vercelli di addentrasse di più nel Canavese, proponendo il tracciato Montanaro-Caluso-S.Giorgio-Agliè-Castellamonte-Ivrea e dichiarandosi disposti ad acquistare 100 azioni se si fosse posta una stazione a ponente di Bairo e 300 in regione Preie. Non era ancora giunto, per Castellamonte, il tempo per avere una ferrovia; sarà il figlio di Domenico Gallo, l’avv. Pier Alessandro ad inaugurarla una trentina di anni dopo.

Migliorarono però le comunicazioni stradali: nel 1859, pur mantenendo il servizio di posta- cavalli con Ivrea, si ottenne finalmente una diligenza pubblica per Rivarolo in coincidenza con quella di Torino. Si migliorò quindi i collegamenti con la capitale, con due corse che giungevano a Castellamonte alle 10 di mattina e alle 8 di sera, invece che dopo la mezzanotte come quella che arrivava da Ivrea.
Nello steso anno si apriva un macello comunale; si impegnava una panetteria ad osservare i prezzi del pane fissati dal Comune e si tentava l’apertura del mercato dei bozzoli.
Dal 1852 Castellamonte poteva vantare anche il primo impianto di illuminazione pubblica: 7 lampioni a petrolio, acquistati d’occasione e che posti nei luoghi appropriati rischiaravano tenuemente le serate dei castellamontesi, squarciando le tenebre mediovali e diffondendo un’aurea di progresso.
Nel campo dell’assistenza esisteva nel periodo precedente il 1850 un aggrovigliato sovrapporsi di enti e competenze. Diffuse erano le confraternite e alcune come quella del Corpus Domini erano influenti e dotate di numerosi beni. Il Comune dimostrò, secondo lo spirito delle leggi, che andavano tutte unificate e i loro beni fatti confluire nella Congregazione di Carità, che divenne l’unico Ente preposto all’assistenza.
Nel campo dell’associazionismo nel 1849 veniva fondata a Castellamonte la prima Società Operaia di Mutuo Soccorso del Canavese e la seconda in Piemonte dopo Pinerolo.
Domenico Gallo, come Sindaco, ebbe sicuramente un ruolo nella costituzione della Società operaia e lui stesso, come d’altra parte quasi tutti i Consiglieri comunali risultano tra i soci fondatori.

La Società Filodrammatica degli operai

Di particolare importanza è il ritrovamento nelle carte dell’archivio di Antonio Talentino dell’atto costitutivo della Società Filodrammatica degli Operai fondata in Castellamonte il 1° gennaio 1851, e della quale non si conservava memoria e può ascriversi come atto costitutivo della Società Filodrammatica che così tanto successo ebbe a Castellamonte e che rimase attiva sino agli anni ’60 del Novecento
Detta società, aveva tutti i crismi di un’iniziativa seria. Era formata da un Consiglio di amministrazione formato dal Presidente avv. Droro, vice presidente il geometra Pietro Talentino (26) , consiglieri Valsecchi Paolo, Casale Giovanni, Pullino Giuseppe, Antonio Lebolo; il direttore artistico Fanio, il vice Gallenga, il tesoriere Giacomo Pianetti, il provveditore Domenico Molinario; il suggeritore il sarto e il parrucchiere. (nomi illeggibili).
Un severo statuto stabiliva i ruoli di ognuno e non erano ammessi ritardi o scuse nell’adempimento delle mansioni.
Gli spettacoli erano a pagamento e la sede nell’ex oratorio della chiesa di S.Francesco. Evidentemente l’iniziativa ebbe successo se nel 1861 si costituì una società per azioni per la costruzione di un edificio proprio per il teatro.
Il 14 luglio 1862 il comune ottenuta la clausola che la sala del teatro potesse servire per i comizi pubblici e la convocazione della leva militare, acquistava 5 azioni da 120 lire cadauna. (cifra alquanto modesta se consideriamo che il costo totale fu di lire 18mila).
L’edificio del teatro costruito su progetto dell’ ing. Avenatti e decorato dal prof. Franzè, è sopravvissuto sino a noi e dopo un adattamento a cinematografo, attualmente è stato trasformato nel Centro Congressi P.Martinetti.

Finalmente raggiunto l’accordo per la nuova chiesa.

Dal 1863 al 1868 a Castellamonte si susseguono tre sindaci: l’avv.Celso Gallenga (27), il dott. Martino Buffa(28) e Domenico Molinario (29) . Si ripresenta in questo periodo la questione della ricostruzione della chiesa parrocchiale. Varie proposte furono presentate, ma non si giunse a nessun accordo, toccò all’avv. Domenico Gallo, nuovamente eletto Sindaco il 27 marzo 1869, il compito d’indirizzarlo verso la definitiva soluzione.
Il parroco don Mattè, deciso ad ogni sacrificio pur di costruire la chiesa, si dichiarò disposto a vendere i beni parrocchiali per edificare una chiesa che, abbandonato il progetto faraonico, sfruttasse l’area destinata dai disegni dell’Antonelli al solo coro e alla sacrestia per edificare una nuova chiesa.
Assegnato il progetto all’ing. Formento si riuscì a raggiungere la cifra necessaria alla edificazione, che si aggirava sulle 151mila lire, grazie alle 20mila lire di contributo comunale e il rimanente con donazioni e vendita di proprietà parrocchiali.
Il 17 gennaio 1871 si appaltava l’opera alla ditta Guglielmetti e Simonetti di Rivarolo e il 2 marzo iniziava la demolizione delle colonne e di un tratto delle mura antonelliane.
Dopo aver superato ancora le ennesime traversie, il 18 luglio 1875, avveniva solennemente l’inaugurazione ed il secolare dibattito chiuso una volta per sempre.

Domenico Gallo uomo di cultura e storico di Castellamonte

L’avv. Domenico Gallo oltre ad essere stato Sindaco e deputato al Parlamento Subalpino per due legislature (IV - V), ricoprì anche le cariche di Conciliatore nel comune di Castellamonte (anno di nomina 1866), e delegato governativo presso la Commissione di revisione per le imposte dirette del comune di Castellamonte. (anno di nomina 1874)
Nel 1878 fu nominato Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia.
Il suffragio elettorale lo volle deputato nel primo Parlamento d’Italia in tempi difficili, il suo animo liberale e sincero lo portò a sostenere, non solo con l’azione parlamentare, ma anche con l’aiuto personale i patrioti e fuoriusciti delle regioni ancora sotto il dominio straniero.
Molti nella casa Gallo trovarono aiuto e ospitalità, uno in particolare Zenocrate Cesari (30), esule politico marchigiano distintosi anche nelle lettere, il quale stabilitosi a Castellamonte, nei primi anni cinquanta dell’Ottocento tentò di sviluppare l’industria della seta costruendo un nuovo e vasto stabilimento in regione Tavolario. I prodotti furono premiati all’Esposizione di Torino del 1858. Dopo l’unità d’Italia, ritornato nelle Marche per assumere incarichi politici vendeva la fabbrica, ma la successiva cattiva gestione ne fece chiudere i battenti nel 1870.
Domenico Gallo fu in amicizia con parecchi personaggi dell’epoca: il conte di Cavour conoscendo le sue doti e sapendo quanto più di ogni altro requisito, fosse importante l’onestà di carattere, gli offri cariche pubbliche, che per la non troppo forte costituzione fisica e per l’amore dei suoi congiunti e del suo paese lui declinò.
Ricordato per carattere gentile e i modi educati ebbe la stima anche degli avversari, anche se non mancò, come scrisse Antonio Talentino, “il dente astioso che lo pungesse, ma egli passò senz’addarsene, sofferendo in secreto”. Nonostante le sue convinzioni, che lo portarono a scontrarsi spesso con le gerarchie ecclesiastiche, il suo anticlericalismo non era mai inteso come spirito antireligioso, ma come avversione al potere temporale della Chiesa cattolica, al suo ruolo antinazionale e al suo influsso operante nella società civile attraverso la capillare struttura di parrocchie e associazioni sociali. Con l’arciprete don Mattè, con il quale condivideva passioni storiche e letterarie, ebbe sempre un buon rapporto.

L’avv. Domenico Gallo, fu cultore delle arti e della storia patria. Appassionato di archeologia, mineralogia, numismatica raccolse e radunò nella sua casa, pregevoli oggetti, che sistemati nelle teche e disposti in una camera a loro dedicata, formarono, un piccolo museo. La sua casa si riempì di libri e documenti, iniziando una pregevole biblioteca che i successori ulteriormente incrementarono.
Tra le sue carte è stato recentemente rinvenuto un voluminoso manoscritto diviso in tre parti: Statistica di Castellamonte, Storia di Castellamonte e Cenni sull’arte ceramica di Castellamonte.
Già da una prima frettolosa lettura, possiamo affermare che molti sono i motivi d'interesse in grado di apportare delle conoscenze nuove e inedite, alla storia di Castellamonte.
L’avv. Domenico Gallo fu chi fornì, per ammissione dell’autore, le informazioni su Castellamonte a Antonino Bertolotti per la stesura della sua opera, Passeggiate in Canavese.
Questo manoscritto conferma, dunque, l’interesse che il Gallo aveva per la storia di Castellamonte.
Gli ultimi anni di Domenico Gallo, furono tormentati dalla malattia. La moglie Elena era già mancata nel 1867, ma gli rimaneva l’amore dei figli: Pier Alessandro il primogenito e Mario, oltre a tre femmine: Emilia, Marina e Sofia.
La morte giunse non improvvisa, la mattina della domenica 6 luglio 1879.

NOTE
 1) Secondo tradizioni famigliari riportate dalle memorie di Vittoria Talentino ved. Talentino nata l’11 luglio 1859 e morta il 7 maggio 1864 i Talentino discendono da un nobile cadetto napoletano di nome Tolentino, poi storpiato in Talentino, giunto a Castellamonte come capitano di ventura al servizio dei conti S.Martino. Stabilitosi a Castellamonte in frazione Spineto, canton Barale. Sposatosi ebbe diversi figli maschi e si ritiene che il primogenito trasferitosi alla frazione S.Antonio, regione Bauda, dove dette origine alla cascina Talentino. (atti di vendita di certo Chiandono a Talentino 1726 e altri atti del 1742 e 43.) Il figlio di questi Giovanni Domenico Talentino sposò una signorina Mussa (o Musso) e dette origine alla famiglia Talentino-Mussa, mentre quelli di Spineto conservarono il solo nome di Talentino, ma il ceppo originario era lo stesso.

2)Mappa del 1795, conservata dalla famiglia Girando.

3) Commemorazione avv.D.Gallo. Opuscolo Arciprete Mattè . tipografia F.L. Curbis Ivrea

4) Conte Maurizio di S.Martino, discendente diretto dei S. Martino scesi da Villa Castelnuovo nel XVI secolo e maggiore generale delle guardie del Regio Palazzo

5) Attuale via Educ, e di fronte all’attuale Centro congressi P.Martinetti.

6) Michelangelo Giorda, Storia Civile, religiosa ed economica di Castellamonte. Ed.Giglio Tos Ivrea 1953

7) All’inizio del secolo XVII un Ghiringhello, persona di qualche istruzione , si portò a Torino e trovò impiego come correttore di bozze in una tipografia, di cui fu poi proprietario. In tal modo, dal 1620 al 1842 esercitò a torino la tipografia Ghiringhello, dai cui tipi uscirono molti buoni libri. L’ultimo tipografo, Antonio morto nel 1824, era molto stimato per la sua operosa intelligenza nell’università dei tipografi torinesi.

8)  Avv. Antonio Talentino nato a Castellamonte il 3 ottobre 1823, morto a Castellamonte 25 settembre 1895. Fervente patriota e oratore fecondo, istituì le scuole superiori a Castellamonte con annesso collegio convitto. Amico di Costantino Nigra e di molti intellettuali dell’epoca, scrisse egli stesso numerose ed apprezzate poesie. Dal 1860 al 1867 fu eletto al Consiglio Provinciale.

9) Massimo Tapparelli d’Azeglio, 1798 – 1866. Patriota, pittore, scrittore e uomo politico piemontese. Divenne primo ministro del Regno di Sardegna dal 1849 al 1852. Sarà senatore del regno dal 1853. Nel 1859 ebbe l’incarico di costituire un governo provvisorio a Bologna, dopo la cacciata delle truppe pontificie. Nel 1860 venne nominato Governatore della Provincia di Milano. Sposò Giulia la figlia di Alessandro Manzoni.

10) Modesto Destefanis nato a Ronco nel 1785, nel 1805 si laurea in medicina e chirurgia. Verso il 1812 si stabilisce a Castelamonte. Allievo di Michele Buniva lo seguiva in Inghilterra per impratichirsi sulla vaccinazione dal vaiolo. Fu il primo a praticare vaccinazioni in Canavesea. Implicato nei moti del 1821 andò esule in Svizzera, Spagna e Francia. Deputato al Parlamento Subalpino per la III e IV legislatura.Padre di Giovanni De Stefanis, ufficiale dei “Mille” di Garibaldi, morì a Castellamonte il 30 gennaio 1852.


11) Bartolomeo Borella nacque a Castellamonte nel 1784, laureato in medicina e ortopedia, partecipò alla cospirazione del 1821 e dovette andare esule in Spagna. Ritornato a Torino nel 1823, impianto il primo laboratorio per la produzione di protesi. Fervente patriota, fu padre di Alessandro Borella, giornalista e co-fondatore della Gazzetta del Popolo.

12) G. B. Meuta, nominato “maire” (Sindaco) il 28 luglio 1801 ebbe un ruolo di rilievo nelle vicende castellamontesi riferite al “periodo francese”, riuscendo a barcamenarsi tra rivoluzione e reazione. Lasciò un diario e un archivio, oggi integrati nell’archivio comunale.

13) Prima guerra di indipendenza: 23 marzo 1848 – 24 marzo 1849. Si concluse con la sconfitta piemontese e l’esilio ad Oporto di Carlo Alberto.

14) Battaglia di Novara 21-23 marzo 1849, detta anche della Bicocca. Si fronteggiarono l’esercito piemontese (più di 100mila uomini)guidati da Carlo Alberto e dal generale La Marmora e quello austriaco (70mila uomini) al comando del Maresciallo Radetzky. Per i Sardo-piemontesi fu una disfatta che pose fine alla I guerra d’indipendenza.

15)  Archivio Comunale di Castellamonte. Ordinati del 1849, data 1 aprile. Avente oggetto: Viveri per le truppe.

16) Michelangelo Giorda Storia civile religiosa ed economica di Castellamonte pag.358

17) Archivio Antonio Talentino, Vercelli

18) Mons. Luigi Moreno vescovo di Ivrea dal 1838 al 1878.

 19) Arch.Alessandro Antonelli 1798 – 1888. Dal 1836 al 1857 fu professore d’architetura ala Accademia Albertina. Svolse attività politica al Parlamento Subalpino e fu Consigliere comunale a Torino e Novara. Le sue opere più importanti furono la basilica di San Gaudenzio a Novara e la Mole a Torino.

20) Arch.Antonio Francesco Talentino Mussa, figlio di Giuseppe e di Anna Maria Bertot di Valperga. Cugino dell’avv.Antonio Talentino. Nato a Castellamonte il 26 luglio 1806, laureatosi in architettura , fece pratica nello studio dell’architetto Ferdinando Monsignore, uno dei più apprezzati professionisti dell’epoca, diventandone il suo aiutante. Alla morte di F.Bonsignore ebbe studio proprio. Progettò molte case nell’isolato tra via della Cavallerizza e via Barolo. Nell’archivio comunale di Torino, ufficio edile, si possono ammirare i suoi disegni tutti ben acquerellati. L’opera principale di Antonio Talentino Mussa, fu la costruzione del Palazzo del conte Birago di Vische in via Vanchiglia. La facciata del Palazzo, era dotata di maggior decorazione, come può ricavarsi dal progetto esistente nell’archivio edilizio municipale, ma successivamente nel restaurarlo molti ornati andarono persi. Attualmente il Palazzo e sede dell’Associasiun Piemunteisa. L’arch. Antonio Talentino Mussa mori a Torino l’8 febbraio 1853 a soli 47 anni, lasciando l’usofrutto delle sue sostanze al fratello sacerdote Tomaso, professore a Torino e legò la metà della proprietà dei suoi averi alla Congregazione di Carità di Castellamonte e l’altra alle tre sorelle.

21) Archivio Antonio Talentino, Vercelli

22) Don Giovan Battista Mattè da Inverso, arciprete di Castellamonte, fu fu una persona di cultura, scrisse numerosi sonetti e poesie e tradusse Dante Alighieri in latino: Il cantica de inferis pubblicato nel 1874 e il Paradisus nel 1876.

23) Michelangelo Giorda, Storia Civile religiosa ed economica di Castellamonte, pag.373

24) Archivio comunale , Protesta, 14 aprile 1860

25) Archivio Antonio Talentino, Vercelli.

26) Pietro Talentino, nato a Castellamonte il 20 aprile 1828, fratello dell avv. Antonio Talentino, si sposò con Francesca Felizzatti. Patriota dovette andare in esilio in Svizzera con la famiglia. Commerciò in tabacco e fondò una fabbrica di sigari a Saint. Aubim. Rimase vedovo nel 1855 e decedette in Ginevra l’11 aprile 1858, lasciando tre figli in tenera età.

27) Avv.Celso Gallenga, cugino di Antonio Gallenga, si trasferì a Torino dove aprì un avviato studio, nel quale laverò per poco anche Giuseppe Bertinatti. L’avv.Celso Gallenga vendette il terreno sul quale sorse la “rotonda antonelliana prima e la chiesa parrocchiale poi.

28) Dott. Martino Buffa, sindaco di Castellamonte dal 1863 al 1865. Durante il suo mandato, nutrì vanamente la speranza di costruire un ponte sull’orco. Riuscì invece , ad istituire un corso di ginnasio, che però durò poco in quanto in un paese prevalentemente agricolo e industriale, mancava la materia prima per gli studi classici.

29) Domenico Molinario, sindaco dal 1866 al 1868. Gestì l’emergenza creata dall’epidemia di colera, che infierì in Castellamonte, proprio in quegli anni. Il teatro da poco costruito fu adibito a lazzaretto 700 furono i casi dichiarati con più di 200 morti.

30) Zenocrate Cesari, Nacque ad Osimo (Ancona ) il 9 agosto 1811, figlio di un segretario comunale e di una discentente di un industriale tessile. Avvicinatosi agli ambienti dalle “carboneria”, fu eletto, per la provincia di Ancona, nella Costituente della Repubblica Romana, nella quale aderì alla parte più moderata. Alla restaurazione del potere pontificio ciò non gli servi ad evitare la scomunica papale del 1 gennaio 1949, con cui vennero colpiti tutti coloro che avevano aderito alla Costituente. Grazie all’aiuto di Massimo d’Azeglio, allora Presidente del consiglio si rifugiò in Piemonte.
A Torino svolse un’intensa attività giornalistica e venne in contatto con Cavour, Rattizzi e Nigra. Collaborò ai giornali il Cimento e il Risorgimento. Fu nominato cavaliere dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro e trascorse gli ultimi anni nella sua città natale, dove ricoprì la carica di Sindaco e vi morì il 6 febbraio 1884.

 

Avv.Domenico Gallo


Etichette: , , , , ,