sabato 12 marzo 2011

La posta cavalli in Canavese: un antico sistema di trasporti.

Da sempre l’uomo ha avuto la necessità di spostarsi, di percorrere grandi distanze e ha cercato di farlo nella maniera più rapida e sicura possibile.
Già nell’antichità l’espandersi dei regni accrebbe anche la necessità di mantenere i collegamenti con le proprie armate e intrattenere rapporti con le nuove province e territori sottomessi.
Per per fare ciò si avvalse della forza e resistenza degli animali (bue,asino,ecc.) e soprattutto del cavallo per le sue doti di velocità.
Anche il cavallo, come gli altri animali, aveva però i suoi limiti e le sue necessità fisiche, cosicchè per percorrere velocemente una lunga distanza  bisognava eliminare i tempi  morti  necessari per far riposare e nutrire i cavalli. Già gli antichi romani crearono dei luoghi per il cambio dei cavalli (mutationes )  e di riposo per i viaggiatori (mansiones)  lungo le principali direttrici del traffico e a distanze più o meno regolari.
Era l’inizio della” posta cavalli” che rimase in esercizio sino ad oltre la metà del 1800.
Per capire come funzionava quello che è forse il primo servizio organizzato di trasporti  è però necessario un chiarimento sul termine “posta”.
Se si consulta un moderno dizionario troviamo una decina di significati, è quindi utile rifarsi al Carena, che definisce il significato primo del termine POSTA, e cioè   “..luogo dove sono i cavalli  per correre la posta e chiamasi più specificamente Posta dei cavalli” donde il traslato   “ .. unità di misura itineraria, colla quale si determina la lunghezza del cammino che altri fanno viaggiando per le poste al fine di regolarne il prezzo a ogni cambiatura.” Quindi la Posta è il luogo, l’edificio, dove si trova assistenza e il cambio dei cavalli ,ma anche  un’unità di misura  di un  itinerario. Questa unità di misura variava nei vari Stati e nelle epoche: nello stato sabaudo nel 1830 era pari a 8 km.
Il Regolamento sul servizio della posta dei cavalli accluso alle Regie Patenti emanate dal re Carlo Felice il 28 novembre 1828 riaffermava il monopolio statale in questo settore ed esso non era dissimile da quello esercitato nel secolo precedente.
In tutto il regno non era permesso a nessuno di servire i viaggiatori con il cambio immediato dei cavalli al di fuori  dalle stazioni gestite dai mastri di posta autorizzati.
I maggiori fruitori della posta cavalli erano i servizi dello stato con i loro corrieri, staffette, portaordini oppure nobili, ecclesiastici ,diplomatici , grandi borghesi: tutte quelle categorie che erano in grado di sobbarcarsi  gli alti costi del servizio.
Tutti gli altri viaggiavano a piedi  a dorso di mulo, di asino e qualche fortunato con un ronzino e si guardava bene dallo stancarlo.
Lo sviluppo e la diffusione del servizio di posta cavalli era direttamente proporzionale
al grado di sviluppo dei commerci, della società , dei suoi traffici e quindi dell’estensione ed efficienza delle strade.
Per quanto riguarda lo Stato Sabaudo, Giuseppe Prato, nella metà del ‘700, afferma che non una sola strada si poteva definire sicura e percorribile  in ogni stagione. Pochissimi i ponti e perlopiù costruiti in legno, quindi soggetti a frequente rovina.
Le strade dell’epoca, quindi, danneggiate da frane e smottamenti in montagna e  fangose in pianura offrivano nel complesso un quadro sconsolante.
La maggioranza di esse collegavano tra di loro le diverse località seguendo dei giri viziosi, che più che a tendere a rapidi e efficienti collegamenti seguivano logiche medioevali  di rispetto delle proprietà, sedimentate nei secoli.
Mancavano buone strade di collegamento con gli altri Stati e i commerci con i paesi aldilà delle Alpi si svolgevano quasi esclusivamente attraverso il valico del Moncenisio, da secoli sotto il controllo dei Savoia, che tutelando i propri interessi scoraggiavano i transiti presso altri valichi.
Su questa direttrice Torino -Moncenisio- Chambery si sviluppava la principale rotta della posta cavalli. che collegava l’altra metà dello stato: la Savoia posta al di la delle Alpi e  da qui la Francia e la Svizzera anche se la mancanza di una strada carrozzabile sul Moncenisio (la farà costruire Napoleone) la spezzava in due tronconi.
Altra importante via di comunicazione dove era attivo il servizio di posta cavalli  era la Torino - Chivasso  e da qui si biforcava verso la Lombardia e verso Ivrea Aosta e valichi.
Per quanto riguarda il Canavese al di fuori di questa importante via di comunicazione che era la Torino Ivrea Aosta che seguiva un’antichissima strada già frequentata dall’epoca romana, le rare strade carreggiabili erano poco più di mulattiere.
I problemi principali erano i corsi d’acqua: torrenti come l’Orco e il Malone quando erano in piena rendevano impossibili i collegamenti per giorni e settimane.
Nel ‘700 esisteva  sulla Dora Baltea un solo ponte in pietra a Ivrea, e sull’Orco il ponte vecchio di Cuorgnè, peraltro  parzialmente crollato e rifatto in legno per la parte mancante.
Fu l’occupazione francese del periodo napoleonico a dare sviluppo alla viabilità piemontese.
La necessità di avere rapidi e sicuri collegamenti con le truppe e il passaggio dei rifornimenti, furono le necessità che indussero i francesi a costruire e rendere agibili la strade e sopratutto a creare delle ardite carrozzabili attraverso i valichi del Moncenisio, Sempione, Monginevro.
Nel periodo napoleonico il settore delle strade era considerato strategico e dipendeva dal Ministero degli Interni.
Nel periodo della restaurazione le Regie Patenti del 12 luglio 1814 ripristinarono la situazione precedente ponendo la viabilità sotto la competenza della “Conservatoria generale delle strade” ma in pratica si demandava ai comuni e ai loro consorzi la costruzione e manutenzione delle strade. I bilanci comunali  non riuscivano mai a reperire i fondi per una corretta manutenzione e si  provvedeva in parte rivalendosi sugli utenti tramite i pedaggi  e imposizioni di “roide” che erano ore di lavoro gratuito prestato dai cittadini e commisurato all’entità dei lavori da eseguire.. Una circolare amministrativa specificava, che erano sottoposti all’onere delle “roide  tutti gli abitanti e possidenti di un territorio....ciascuno a ragguaglio delle proprie facoltà  Ne erano esclusi “ i nullatenenti, e coloro i quali non hanno altro mezzo di sussistenza che il lavoro delle loro bracciaLa quota individuale, da assegnarsi agli abitanti non possidenti era lasciata “ al prudente arbitrio delle amministrazioni”.
I comandati potevano prestare la loro opera in natura, cioè lavorando o pagare in denaro.
Una giornata di lavoro dall’alba al tramonto veniva valutata da una a due lire. Se poi si mettevano a disposizione propri attrezzi agricoli o animali il loro uso era conteggiato in
equivalenti giornate lavorative. Ad esempio: una giornata di lavoro con il proprio carro e due cavalli o muli equivaleva a sei giornate di semplice lavoro manuale. La giornata di un ragazzo sopra i 12 anni valeva mezza giornata normale;quella di una donna 3 quarti.

Ma anche il Piemonte “reazionario” dopo il 1815 dovette accorgersi della bontà delle riforme dell’amministrazione francese che considerava la viabilità strategica e fondamentale per lo sviluppo economico e commerciale. Si cominciò a curare e sviluppare i collegamenti sulle lunghe distanze, in particolare alle strade che conducevano ai porti e valichi di confine. Riconosciuta infine la necessità di un’autorità centrale che coordinasse gli interventi, la legge francese venne rapidamente riesumata nelle sue parti principali

La situazione migliorò e nel 1828 su 4700 Km di strade Reali e Provinciali, 2000 erano” in stato di regolare manutenzione  e provviste di paracarri in pietra lavorata”.
Erano già costruiti in pietra i ponti di Boffalora sul Ticino al confine Lombardo-Veneto e quello sulla Dora Baltea a Rondissone; in legno quello sulla Stura, sul Malone presso Brandizzo e sull’Orco presso Chivasso,( costruito nel 1827), mentre di barche era quello sul Sesia oltre Vercelli.
Nel 1830 il ponte in legno sulla Dora Riparia a Torino  fu sostituito con uno in pietra proveniente dalle cave del Canavese e costituito da un unico arco di 45 mt; fu vanto dell’ingegneria sabauda. Progettato dall’Ing. R.Mosca  ancora oggi sopporta il traffico di corso Giulio Cesare;  quello sull’Orco vicino a Chivasso verrà terminato nel 1848 con un costo di L. 474.000.

Torniamo alla Posta Cavalli.
Lungo i suoi itinerari o meglio le rotte e nelle sue stazioni di postadalla seconda metà dell’Ottocento, divennero più animate: si sviluppava il trasporto pubblico e si diffondeva il servizio postale.
Abbiamo già accennato all’importante via di conunicazione che attraversava il Canavese:la Torino-Ivrea-Aosta.
L’itinerario seguito era il seguente: usciti da Torino si seguiva la strada Reale per Milano sino a Chivasso; da qui si raggiungeva Caluso, quindi Ivrea.
Verso la metà del ‘700 questo antico itinerario per ragioni che non conosciamo fu sostituito con un’altro: Torino-Leiny-Volpiano-Foglizzo-Montalenghe-Ivrea. ( Duboin Tomo XII vol.25 pag.760-856)
Nel 1831 si inaugura una nuova stazione di posta a Caluso e da quella data la linea ritorna sull’antico itinerario e la strada Torino-Leiny-Volpiano.Foglizzo,Montalenghe ,Ivrea risulta essere strada comunale con fondo meno buono e priva di stazioni di cambio cavalli.( De Bartolomeis Notizie Topografiche Vol II pag.524-26)
Da Ivrea dipartivano anche due linee secondarie  verso Biella e verso Cavaglià.
Nel 1828 su iniziativa del mastro di posta di Torino Carlo Pollonera verrà istituita la Torino -Cuorgnè,  e nel novembre 1835 la Torino-Lombardore-Agliè.
Di ogni stazione di posta era responsabile il” Mastro di posta”, il quale l’aveva avuta in concessione e pagava allo Stato un canone annuo in base all’importanza e al volume di traffico della stazione stessa.
Il “mastro di posta” sceglieva i postiglioni, seguiva il personale, perchè di norma la stazione di posta era anche albergo e osteria, doveva curare l’approvvigionamento del foraggio e quant’altro serviva; vendere o cambiare i cavalli quando questi cominciavano a rendere meno e poi sopratutto usare una certa cortesia con i viaggiatori che spesso erano  nobili o grossi borghesi e talvolta il Re.
Il “Mastro di posta” vestiva in servizio  una piccola livrea , e poteva fregiarsi  del distintivo del pelo di tasso legato alle briglie dei cavalli che era considerato un privilegio tutelato dalla legge in quanto era:  “proibito a qualunque particolare, cocchiere, vetturale, od altri di apporre o far apporre il tasso, o qualunque pelo somigliante, alle briglie o finimenti dei cavalli ... pena di L.25 per ogni contravvenzione“ R.Editto 12-XII-1818.
Altra figura importante della stazione di posta era il postiglione, che il già citato Carena definisce” guidatore dei cavalli della Posta attaccati ad un legno in cui si corre la posta, egli suol cavalcare il sinistro dei due cavalli attaccati al timone
La loro divisa in servizio era “.. di panno bleu, con gallone d’argento, colletto e paramani di panno scarlatto, bottoni bianchi....cappello tondo di corame verniciato, ed al braccio sinistro una placca di metallo bianco con il numero d’ordine e l’epigrafe:REGIE POSTE
Il loro compito principale  era quello di condurre  le vetture a cavalli da una posta alla successiva, rientrando poi con i materiali alla posta da cui dipendevano. Nel 1817 i postiglioni piemontesi erano poco meno di 300 e i loro proventi erano costituiti dalle retribuzioni concordate per legge e dalle mance che ricevevano dai viaggiatori..

Infine vediamo come si svolgeva un viaggio in posta  che a noi uomini moderni  pare particolarmente complicato.
Il viaggiatore che voleva raggiungere una località utilizzando le rotte, doveva munirsi di apposito “bollettone”, che era una sorta di avo del biglietto ferroviario, rilasciato dall’ufficio preposto e sul quale era indicato il percorso.
Per ottenerlo però,  doveva essere in possesso del passaporto oppure di nulla osta delle autorità di polizia: solo così poteva usufruire del servizio di cambio dei cavalli.
All’atto del rilascio si  pagava solo una quota del viaggio il rimanente veniva saldato di tappa in tappa ai mastri di posta (prima della partenza e ai postiglioni al termine della corsa).
Il viaggiatore presentando il “bollettone” poteva utilizzare i cavalli e le carrozze delle stazioni  oppure solo i cavalli da attaccare alla propria carrozza; in questo caso i suoi cavalli erano spediti a casa sua o allogati a pagamento nella stazione stessa.
Il numero dei cavalli, era stabilito per legge  e teneva conto del percorso, il numero delle persone e del tipo di “legni” che si usavano (legni erano chiamati i mezzi di trasporto dell’epoca).
I legni con due ruote, o a quattro denominati carri tedeschi, carrettelle o calèches si attaccavano a due o tre cavalli.
Le bastardelle e carrozzini, diligences, coupè, landaulets  e tutti quelli a quattro ruote con media capacità e dotati di timonella , da tre o quattro cavalli.
I legni coperti e a timone di maggior capacità come berline e landau e simili richiedevano da quattro a sei cavalli e due postiglioni.
Questi ultimi trasportavano sino a sei passeggeri.
Non bisogna poi dimenticare il bagaglio (denominato equipaggio)  che doveva trovare un’adeguata sistemazione.
Per quanto riguarda i passeggeri, un ragazzo sino ad otto anni non veniva calcolato tra le persone, mentre di minore età contavano per una persona.
Il tempo di percorso su un determinato itinerario poteva variare di molto, dipendendo da vari fattori : qualità delle vetture, e dei cavalli impiegati o da altri poco prevedibili come la percorribilità delle strade,  il maltempo, il passaggio di ponti, traghetti, posti di pedaggio dove si doveva cedere la precedenza  ai mezzi che trasportavano la corrispondenza postale, alle staffette o corrieri di gabinetto e portatori di ordini governativi.

Il regolamento del 1828 non fissava orari. A titolo indicativo alcune guide dell’epoca come la Nuveau Guide du Voyageur en Italie  fornivano i tempi indicativi sulle percorrenze di posta sulle principali strade sabaude.
Si può quindi stimare in  8 - 12 Km ora su percorsi facili e in pianura, la metà per quelli di montagna
Il cambio dei cavalli avveniva ad ogni stazione di posta, se questa non ne aveva di disponibili si proseguiva fino alla successiva  se ancora non era possibile cambiarli si doveva dare “un’ora di rinfrescata ai cavalli”
Con i cavalli si cambiavano anche i postiglioni.
Poteva anche capitare che la meta del viaggiatore fosse fuori dall’itinerario stabilito dalle poste. In questo caso se la località da raggiungere era situata ad un massimo di tre poste
(24 Km) la corsa era possibile con una maggiorazione di prezzo.
Come abbiamo visto la fruizione di questo servizio organizzato di trasporti ci appare un po complicato, ma nonostante ciò portò il suo contributo allo sviluppo della società dell’epoca.
Con il passare degli anni, i movimenti di persone e cose sulle strade si sviluppò notevolmente, ma non andava però tutto a favore delle stazioni di posta, anzi tendeva a svilupparsi al di fuori dei loro vincoli.
Nuove imprese private fecero aumentare il numero dei vetturali e noleggiatori di cavalli, mentre  tendevano a svilupparsi i servizi di trasporto pubblico a mezzo di diligenze e altre vetture pubbliche, che costrinsero i Mastri di posta  ad adeguarsi o sparire dalla scena economica. Sugli antichi itinerari della posta cavalli si svilupperà sempre più il trasporto della corrispondenza,  sino a mutuarne il nome.
Oggi quando parliamo di posta intendiamo  lettere cartoline o uffici postali e nessuno pensa più ai cavalli  o alle sei poste che separavano Ivrea da Torino.
 Le stazioni di posta continuarono a sopravvivere per qualche decina di anni, sino allo sviluppo delle ferrovie. Con il treno iniziò la decadenza della trazione animale e il trionfo della tecnica nella ricerca di sempre maggiori velocità.
Era l’inizio di una lunga storia... 

Emilio Champagne  “IL CANAVESANO” 1999    

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